Passa ai contenuti principali

In primo piano

MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers

Opinione, espressione, cronaca: libertà responsabile

Articolo di Fabiana Battisti


Siamo nell’era della post-verità, in cui emotività e convinzioni personali sono più influenti dei fatti obiettivi nell’orientare la pubblica opinione (Oxford Dictionaries 2016). I social mostrano questa condizione nell’equiparazione di competenza e opinione. Nel dibattito pubblico a prevalere è la libertà di espressione del singolo, infatti “all things are knowable and every opinion on any subject is as good as any other” (Nichols 2017).
In particolare la stampa e la competenza giornalistica sono annullate dall’autodeterminazione informativa in un contesto apparentemente disintermediato. A farne le spese è prima di tutto la società ipercomplessa ed iperconnessa (Dominici 2016) che ha perduto la capacità di condurre dibattiti costruttivi e lo stesso senso di responsabilità che le parole e il loro impiego comportano, sempre.

Diritti vs Opinioni

In questa ottica è la stessa giurisprudenza ad interrogarsi, tenendo conto dell’abuso odierno dei principi fondamentali e di come questi debbano essere sottoposti ad un bilanciamento tra i diversi diritti e doveri della democrazia (Bianca, Gambino, Messinetti 2016).
È la docente universitaria e giurista Mirzia Bianca ad aiutarci a fare chiarezza in tema di diritti e opinioni.
“Partendo dal dettato costituzionale, noi sappiamo che il nostro ordinamento ha affermato già dal 1948 il principio della libertà di espressione (art. 21). Questo è stato fondamentale perché il costituente molto lungimirante ha previsto con qualsiasi mezzo che si potesse poi applicare non solo alla stampa, soggetto per il quale era pensato, ma anche a contesti comunicativi diversi quale è quello attuale.
Quello che però a mio avviso è cambiato completamente dell’intendimento del principio è stata proprio la sua valenza di pietra angolare della democrazia, perché in realtà oggi si assiste ad un paradosso e quindi a un ossimoro di fondo per cui al fatto che sia concessa la libertà di espressione a tutti come simbolo di un principio democratico si è arrivati a forme di populismo, di azzeramento, di limitazione e di disinformazione".
Ma, entrando nel merito di ciò che distingue la libera espressione di un’opinione dal diritto e se vogliamo dal dovere di cronaca giornalistica, quale valore è possibile assegnare al “decalogo del giornalista”?
“Lo insegniamo ai ragazzi, è una sentenza della Corte di Cassazione del 1984 e fu pensata allora per l’attore principale della libertà di espressione che è appunto il giornalista. Oggi io mi domando se sia corretto ancora restringere l’ambito applicativo del decalogo, che fa riferimento al principio di - 1 verità oggettiva o putativa, - 2 utilità sociale, - 3 forma (continenza), oppure estenderlo a chiunque comunichi ed esprima il proprio pensiero indipendentemente dalla qualifica di giornalista.
Questo significherebbe ampliare i limiti in realtà, ricondurre l’informazione da chiunque provenga al principio di verità e in questo modo contrastare la disinformazione, che corre su un binario assolutamente opposto rispetto a quello che è il principio della libertà di manifestazione del pensiero. I contenuti illeciti creano delle frange populiste, l’odio, fenomeni pregiudizievoli per la persona umana che dovrebbe essere, poi, al centro dell’ordinamento”.

Liberati dalla Stampa

Questo falso senso di equità, rispetto all’utilizzo di internet, dipende dall’immediatezza della comunicazione garantita dai social. Uno vale uno perché tutti possiedono un profilo e sulla home la fruizione è così veloce da rendere un contenuto un passaggio tra il precedente e il prossimo. Il fulcro della questione risiede nel fatto che i singoli dietro le loro tastiere “argue rather than discuss, and insult rather than listen” (Nichols 2017).
Si assiste così alla morte della competenza, che non rifiuta la conoscenza in sé ma nega la razionalità arando il terreno del populismo. Ne è un esempio il consenso ricevuto dal post di Alessandro Di Battista, in merito all’assoluzione del Sindaco Virginia Raggi, il 10 Novembre 2018. “Pennivendoli” venivano definiti i giornalisti accusati di aver messo alla gogna il M5S, “infimi sciacalli” per il Ministro Di Maio, nonostante le restrizioni in materia di cronaca giudiziaria siano stringenti, a differenza delle libere espressioni dei due politici.


Questo operato rientra nella strategia dell’avvelenamento del pozzo (D’Agostini in Cantù 2011) che punta a denigrare giornali, giornalisti e informazione tutta attraverso la chimera dei ‘finanziamenti pubblici alla stampa’, adottata dal M5S sin dal 2007 al I VaffaDay. Lo ricorda il giornalista Luca Bottura  nell’evento "Liberateci dalla stampa: la tentazione del potere globale", organizzato da Repubblica in risposta alla montante catena di odio, il 25 novembre 2018. Non solo, tra gli interventi vanno ricordati i 4 granelli di consapevolezza di Massimo Russo rispetto all’uso che la politica fa della macchina social: tono di voce confidenziale, illusione di partecipazione, seguire e voler guidare le tendenze, sponsorizzazioni e strumentalizzazione degli algoritmi tramite bot e troll.
In realtà “Internet is the largest anonymous medium in human history” (Nichols 2017) e permette di vivere la propria fruizione mediale all’interno di echo chambers (Gheno in Patota, Rossi 2018), casse di risonanza di opinioni vicine alle proprie, amplificate dagli algoritmi che regolano l’ordine con cui i post si susseguono. Si tratta dell’effetto filter bubble (Gheno in Patota, Rossi 2018), che nega la pluralità e i contrasti ed è in grado di influenzare cognitivamente un individuo, legittimandone le tesi anche se prive di autorità. Tanto da mettere a rischio in prospettiva la sopravvivenza della democrazia stessa.

Antropologia, condivisione e conseguenze

“This unwillingness to hear out others not only makes us all more unpleasant with each other in general, but also makes us less able to think, to argue persuasively, and to accept correction when we’re wrong. When we are incapable of sustaining a chain of reasoning past a few mouse clicks, we cannot tolerate even the smallest challenge to our beliefs or ideas” (Nichols 2017).
In sostanza ciò che spinge il singolo alla condivisione di contenuti come tweet o post è la volontà di connessione auto-referenziale della propria esperienza privata con le discussioni pubbliche (Papacharissi in Petroni, Massa, Anzera 2017), alla base resta il tema della credibilità, che all’interno dei social network risulta composta da due radici: normativa e affettiva (Vittadini 2018). Proprio in considerazione delle echo chambers nell’odierna network society il forte individualismo interconnesso in una rete di legami di interesse induce a preferire contenuti vicini alla propria rete e al proprio schema valoriale-sociale, rifiutando la radice cognitiva (Gili 2005) della credibilità e dunque i contributi di soggetti competenti ma non necessariamente in accordo con le proprie opinioni.
In linea con questa tendenza si pone la trasformazione antropologica riscontrata dal rapporto annuale del Censis per l’Italia. È in atto una sorta di incattivimento strisciante nella popolazione, «le diversità sono percepite come pericoli da cui proteggersi e la dimensione culturale della insopportazione degli altri sdogana ogni sorta di pregiudizi, anche i più passatisti» (https://www.corriere.it/economia/18_dicembre_07/se-l-italia-diventa-cattivista-fotografia-censis-15a0b25c-fa60-11e8-a868-3ca0c519d197.shtml), quale ad esempio l’immigrazione. A questo proposito a dare maggiore evidenza alla parallela perdita di senso di responsabilità in Rete da parte degli utenti, il primo post del Sindaco di Pontivrea Matteo Camiciottoli, in cui augurava a Laura Boldrini di essere stuprata da uno degli stupratori di Rimini dell’estate del 2017, e il successivo alle polemiche suscitate a livello istituzionale.

                                      

                                     

La condanna del Sindaco è un recente spartiacque, che torna a dare peso alle parole in Rete. Inoltre è stata accompagnata da un tweet di Laura Boldrini, che pubblica la scelta di destinare il risarcimento a progetti di educazione civica digitale.


                                      


Dunque è chiara la rilevanza giuridica dei social, in cui anche la forma dei contenuti inizia ad avere ed essere sostanza in termini legali, come già aveva stabilito la Corte di Strasburgo per le manifestazioni del pensiero incompatibili con l’art. 10 Cedu, i cui autori sono responsabili, anche penalmente, ai sensi della decisione-quadro europea 2008/913/Gai e, in Italia, ai sensi di varie disposizioni di legge che puniscono discriminazione e odio razziale, istigazione alla violenza, apologia di genocidio, cyberbullismo, atti persecutori commessi anche online, diffamazione e minaccia (Allegri 2018).
Di fatto dall’essere in grado di ridisegnare il sistema delle relazioni umane, le piattaforme conducono obbligatoriamente verso nuove soluzioni gli orientamenti della politica internazionale, tra cui la Commissione europea che suggerisce un approccio di tutela e controllo dei contenuti basato sulla cooperazione tra autorità competenti (giudiziarie e amministrative, nazionali ed europee) e piattaforme informatiche (Allegri 2018).

Cosa Fare?

“La morale concerne l’individuo nella sua singolarità. Il criterio del giusto e dell’ingiusto, la risposta alla domanda «cosa devo fare?» non dipende in sostanza dagli usi e costumi che io mi trovo a condividere con chi mi vive accanto, né da un comando di origine divina o umana – dipende solo da ciò che io decido di fare guardando a me stesso. In altre parole, io non posso fare certe cose, poiché facendo so che non potrei più vivere con me stesso” (Arendt in Dominici 2016).
Lo snodo centrale forse sta proprio qui, nel guardare se stessi, o meglio nel riportare l’utente a stabilire nella dimensione liquida della società delle traiettorie di riferimento etico laddove queste siano state smarrite. Ad esempio tornando ad attribuire dignità e peso alla parola e al suo impiego.
Richiamando la dimensione giuridica con la docente Mirzia Bianca, torniamo a chiederci se un risvolto etico possa essere risolutivo:
“Sì, è essenziale sapere che chi dà un’opinione partecipa al dibattito pubblico e partecipare ha un suo costo in termini etici e sociali. Non significa solamente parole in libertà, significa condividere con gli altri delle idee, delle opinioni e quindi pagare anche il costo di questa condivisione. Il costo è una formazione etica della libertà d’espressione, cosa che probabilmente arriverà molto tardi, ma che comunque è la risposta principale a tutti i problemi a cui oggi assistiamo, in cui il giornalista è messo in retroguardia, ha una posizione recessiva. Però l’ossimoro è che a lui si applica il decalogo mentre tutto il resto del mondo e quindi del dibattito politico è lasciato all’assenza assoluta di regole”.
Come ha suggerito la stessa Lucia Annunziata nell’evento di Repubblica, il giornalista dovrebbe scendere nell’arena social e far sporcare le mani alla sua competenza, tuttavia per far ciò bisognerebbe gareggiare ad armi pare. Disporre cioè di uguali parametri di giudizio perché se è vero che i social non sono più soltanto veicolo di informazione non si può pensare ottimisticamente che ognuno continui pure a coltivare il proprio giardino, citando Voltaire.  Questo non è possibile, perché è evidente che non funzionerà a lungo. Sono necessarie politiche sociali che promuovano progetti concreti per sviluppare conoscenze e competenze in materia di media e digital literacy (Petroni, Massa, Anzera 2017), in virtù di quella cittadinanza digitale e responsabile perseguita dall’Unione Europea.
In conclusione: Education is supposed to help us to recognize problems like “confirmation bias” and to overcome the gaps in our knowledge so that we can be better citizens (Nichols 2017).



Bibliografia 

AdnKronos (2018) https://www.adnkronos.com/fatti/politica/2018/11/10/infimi-sciacalli-maio-attacca-giornalisti_RSiaJG5khoAAHXodIuelWL.html

Allegri, M. R. (2018) Ubi Social, Ibi Ius. Fondamenti costituzionali dei social network e profili giuridici della responsabilità dei provider, Milano: FrancoAngeli

Bianca, M., Gambino, A., Messinetti, R., (2016) Libertà di manifestazione del pensiero e diritti fondamentali. Profili applicativi nei social networks, I parte, Milano: Giuffrè Editore

Cantù, P. (2011) E qui casca l’asino, Torino: Bollati Boringhieri

Corriere della Sera (2018) https://www.corriere.it/economia/18_dicembre_07/se-l-italia-diventa-cattivista-fotografia-censis-15a0b25c-fa60-11e8-a868-3ca0c519d197.shtml

Dominici, P. (2016) Dentro la società interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema della comunicazione, Milano: FrancoAngeli

Nichols, T. (2017) The death of expertise. The Campaign against Established Knowledge and Why It Matters, New York: Oxford University Press

Open Media Coalition http://www.openmediacoalition.it/documenti/584-2/index.html

Patota, G., Rossi, F. (2018) L’italiano e la rete, le reti per l’italiano, Firenze: Goware

Petroni, S., Massa, A., Anzera, G. (2017) Lo specchio di Aletheia. Fake news e politica internazionale, Roma: Edizioni Nuova Cultura

Repubblica (2019) https://video.repubblica.it/edizione/genova/laura-boldrini-questa-sentenza-e-uno-spartiacque-chi-offende-nella-rete-ne-deve-rispondere/324603/325221

Repubblica (2018) https://video.repubblica.it/dossier/liberta-di-stampa/liberta-di-stampa-l-ironia-di-bottura-un-saluto-ai-poteri-forti-in-sala/320694/321321?ref=vd-auto&cnt=1

Repubblica (2018) https://video.repubblica.it/dossier/liberta-di-stampa/liberta-di-stampa-lucia-annunziata-fare-informazione-sul-web-e-combattere-tutti-i-giorni-nel-colosseo/320692/321319?ref=vd-auto&cnt=1

Repubblica (2018) https://video.repubblica.it/dossier/liberta-di-stampa/liberta-di-stampa-massimo-russo-la-pizza-di-di-maio-e-le-nonne-di-renzi-cosi-la-politica-usa-la-macchina-dei-social/320685/321312 

Senato della Repubblica https://www.senato.it/1025?sezione=120&articolo_numero_articolo=21

Vittadini, N. (2018) Social media studies. I social media alla soglia della maturità: storia, teorie e temi, Milano: FrancoAngeli

Commenti

Post più popolari