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MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers

“IT’S IN YOUR HANDS”: HUAWEI TRA VIRALITÀ E RESPONSABILITÀ SOCIAL(E)

Articolo di Ilaria Ballerini


Il “mostruoso” spot di Huawei

2 Agosto 2018. Huawei, società cinese di smartphone, ormai una delle più competitive sul mercato internazionale della telefonia, lancia su Youtube un nuovo spot dedicato al pubblico tedesco dal titolo “Du hast es in der hand” [https://www.youtube.com/watch?v=_qcACe4Q21w], poi rilasciato anche nella versione anglosassone “It’s in your hands” (del significato del titolo ne parleremo più avanti).

Il telefono oggetto dello spot, Huawei P Smart+, compare solo all’inizio e alla fine del filmato della durata di 1:40 min. Nel resto del tempo, il regista Alex Feil ci racconta una storia à la Steven Spielberg, fatta di ragazzi in bicicletta e ritrovamenti inaspettati.

La morale della favola, che è anche un po’ la tesi dell’articolo, è semplice: bisogna fare attenzione a come utilizziamo smartphone e social network sites, alla responsabilità social(e) che potremmo avere nel momento in cui mettiamo in rete un contenuto che riguarda qualcun altro. 

Perché Huawei ritiene necessario affrontare questo tema? Per scoprirlo, proviamo ad analizzare la storia suddividendola in capitoli.

1. La Cattura 

Nei primi istanti dello spot, vediamo un ragazzo adolescente aggirarsi in bicicletta in un bosco insieme a degli amici. Mentre pedala, viene distratto dai rumori indistinti di qualcosa che si muove tra la boscaglia circostante. Sceso dalla bicicletta, si fa guidare da questi suoni e, con suo stupore, scorge un piccolo essere, tutto intento a farsi una scorpacciata di lumache. 

L’esserino grottesco, dall’aspetto davvero peculiare – elemento fondamentale per il nostro ragionamento, potremmo descriverlo come un mix tra un piccolo gnu e un gremlin buono -, si accorge della presenza dell’umano e si volta verso di lui. Il ragazzo, con cautela, tira fuori il telefono oggetto dello spot e scatta una foto

Un climax musicale evidenzia l’istante dello scatto, il momento in cui l’oggetto (l’animale grottesco) viene “digitalizzato” dal soggetto (il ragazzo), attraverso la fotocamera. È proprio in questo istante che si gioca l’intera narrazione successiva: la cattura in digitale diventerà anche trasformazione di senso (Marra, 2012).


2. La Condivisione sui Social

Il ragazzo condivide immediatamente la scoperta su un’app di messaggistica istantanea. Applicazioni di questo tipo, come WhatsApp, pur essendo dei social network sites, hanno una connotazione quasi “privata”. Per connettersi è necessario conoscere il numero telefonico del destinatario, un dato che viene ritenuto personale e, normalmente, da condividere con una rete ristretta di persone. 

Si innesca, dunque, un sistema di fiducia e di omofilia (Vittadini, 2018), per cui non solo ci si fida di chi sta dall’altra parte, ma anche chi è dall’altra parte confida nella veridicità di ciò che viene condiviso: è il cosiddetto confirmation bias, il pregiudizio di conferma legato alle echo chambers, le camere dell’eco (Marino & Thibault, 2017), dove ogni utente funge da ripetitore dei contenuti degli altri a cui è collegato e con i quali effettua social sharing.

La foto diventa in brevissimo tempo virale, senza necessità di fact-checking. A contare è, invece, l’aspetto dell’animale: le caratteristiche puramente estetiche, le uniche che si possono evincere dallo scatto fotografico – l’apparenza -, sono ciò che non solo lo rendo virale nell’immediato ma che, successivamente, lo trasformeranno in spreadable, spalmabile, diffondibile (Ford, Green & Jenkins 2013), risemantizzabile. 

Nessuno sa cosa sia. Nessuno sa se sia vero o meno, ma tutti lo condividono a macchia d’olio.

3. “This is GNUGNU”

Ogni moda ha bisogno di essere legittimata dai suoi opinion leader (Katz, Lazarsfeld, 1968), che al giorno d’oggi sono gli influencer. Ebbene, anche per il nostro misterioso animaletto giunge il fatidico momento della fama proclamata. Nella storia, è lo youtuber tedesco Concrafter|Luca a consacrare l’attimo, pubblicando un video in cui dà un nome al nostro piccolo protagonista, presentandolo così: “This is GNUGNU” [g dura]. Un nome onomatopeico di un verso che però nessuno ha mai sentito e che, apparentemente, nessuno sente il bisogno di verificare. 

È così che, insieme al nominativo, viene affidato a GnuGnu un vero e proprio contenuto, un pattern di significati e rimandi (Benjamin, 1916/2009). Le fattezze dell’animale si trasformano in nuove narrazioni: un filtro per le foto, un giocattolo per bambini; il nome in una suoneria. GnuGnu diventa testimonial, marchio, garanzia di successo. Ognuno ci aggiunge del suo. 
Nel frattempo, il ragazzo che aveva scattato la foto diventa famoso, e l’escalation transmediale è talmente veloce che, ad un certo punto, si sente il bisogno di avere di più. Non basta la semplice idea, il meme (Volli, 2017) che si ha del piccolo animale mangia-lumache: ora serve rendere tangibile questo immaginario. Alle scene di euforia ne vengono alternate alcune dal sapore opposto, cupo e violento: alcuni elicotteri volano sopra la foresta con la missione di catturare l’animale che ha dato il via a questa epidemia.

Ma è stato davvero lui ad iniziare tutto?

4. La Cattura, quella vera

GnuGnu è ormai diventato d’interesse pubblico (Allegri, 2018) e le istituzioni si mobilitano per trovarlo. L’atmosfera del video si fa tesa: una serie di brevi e veloci frame mostrano la crudeltà con cui l’animale viene catturato e ingabbiato, per poi essere gettato alla gogna tra i turisti di un parco a tema dedicato proprio a lui.

Abbiamo due epifanie contemporaneamente: la prima riguarda tutti coloro che hanno goduto dell’immagine del loro GnuGnu, esattamente per come media e utenti lo hanno plasmato. Questi si ritrovano ad osservare la realtà, il vero GnuGnu, piccolissimo rispetto all’immensità dell’universo transmediale che lo ha involontariamente visto protagonista. Nel constatare questa discrepanza, lo deridono e rifiutano come diverso.

La seconda epifania – che, in questo caso, è più uno shock -, tocca al povero animaletto, catapultato in un mondo al quale non appartiene, ma che è legato a lui da una flebile traccia: la foto scattata dal ragazzo in un tempo ormai remoto.

Conclusioni: It’s in your hands, è nelle tue mani

Proprio nel momento più alto della tensione narrativa del video, la scena cambia completamente e ritorna a quel momento in cui il ragazzo aveva appena effettuato lo scatto, regalandoci un lieto fine. Era tutto un sogno, un’immaginazione, un “cosa sarebbe potuto succedere se” davvero avesse condiviso sui social media la foto del piccolo animale. Al ché il ragazzo, risvegliato dall’empatia nei confronti di GnuGnu, decide di cancellare la foto dallo smartphone, lasciare l’animaletto nella natura incontaminata e andarsene. A volte, pensa, è meglio non condividere.

La storia raccontata da Huawei non è tanto diversa da altre che hanno fatto parte della nostra quotidianità, come quella di Tiziana Cantone, o di tutti quei meme che creiamo o condividiamo senza neanche sapere – o, meglio - senza preoccuparci della loro origine. 

Scrive Piero Dominici in La società dell’Irresponsabilità

"La società dell'irresponsabilità è il connotato essenziale del mutamento in corso, sempre più permeato da processi di individualizzazione, dall'egemonia di valori individualistici e da una superficialità/incapacità di valutare le conseguenze dell'azione sociale (individuale e collettiva). Un preoccupante vuoto etico in grado di incidere sui meccanismi della fiducia e della cooperazione sociale e di determinare spaesamento e insicurezza, fornendo delle basi a dir poco precarie a un ordine sociale già caratterizzato dalla debolezza delle istituzioni e, in generale, dei sistemi di appartenenza." (Dominici, 2015)

Con il contenuto, a disperdersi, a diventare spreadable è anche la responsabilità (Gladwell, 2006). Essa si disperde tra gli utenti che, a piccoli pezzi, smembrano il significato originario e, ciascuno per sé, lo fa diventare qualcos’altro, gli dona una nuova narrazione senza prendere in considerazione la referenza. Come se tutti prendessimo di nascosto l’uno dall’altro una briciola di una torta: nessuno se ne accorgerebbe ma, prima o poi, la torta finirà e qualcuno dovrà darne conto. 

In tedesco Du hast es in der hand – come anche la traduzione anglosassone It’s In Your hands -, non significa solamente “è nelle tue mani” ma, similmente all’italiano, è una figura per dire “ora ne sei responsabile”, “tocca a te prendertene cura”. Ad aggiungersi, c’è il motto di Huawei Wicked Possibilities, dove wicked ha la doppia valenza di “pericolose” e “straordinarie”. 

Dipende dall’utilizzo che se ne fa, verrebbe da aggiungere. 


FUN FACTS:
  1. Il video di Huawei è diventato virale immediatamente dopo la sua pubblicazione. Ad oggi conta, solo per la versione tedesca, circa 4.300.000 visualizzazioni;
  2. GNU è anche il nome di uno dei primissimi esempi di software liberi, sviluppato da Richard Stallman a partire dagli anni ‘80:
    “Il modo più semplice per rendere un programma, o altro lavoro, libero è dichiararlo di dominio pubblico, privo di copyright. […] Nel Progetto GNU, la nostra intenzione è dare a tutti gli utenti la libertà di ridistribuire e modificare software GNU. Se l'intermediario potesse rimuoverne la libertà, il nostro codice potrebbe forse essere "usato da molti utenti", ma non renderebbe liberi questi ultimi. Così, invece di rilasciare il software GNU come dominio pubblico, utilizziamo il copyleft. Il copyleft significa che chiunque distribuisca il software, con o senza modifiche, deve accompagnarlo con la libertà di ulteriori copie o modifiche. Il copyleft garantisce che ogni utente sia libero.” (https://www.gnu.org/licenses/copyleft.it.html
  3.  





BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA

Allegri, M. R. (2018), Ubi Social, Ibi Ius. Fondamenti costituzionali dei social network e profili giuridici della responsabilità dei provider, Milano, FrancoAngeli Open Access. Reperibile in: https://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_Libro.aspx?ID=24925 .

Benjamin, W. (2009), Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo (Trad. di: Sciacchitano, A.), originariamente Über die Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen (1916), in: Gesammelte Schriften vol. II-1, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991 (pp. 140- 157).

Bertetti, P. (2016), Virus is a Language. In: Marino, G., Thibault M. (a cura di), Lexia. Rivista di Semiotica, 25-26(2016), pp. 87-102, Roma, Aracne Editrice.

Dominici, P. (2015), La società dell'irresponsabilità. L'Aquila, la carta stampata, i "nuovi" rischi, le scienze sociali, Milano: FrancoAngeli. Citato in: Dominici, P., Riflessi sulla società dell’irresponsabilità…, Fuori dal Prisma, Il Sole24Ore. Disponibile in: http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2017/08/25/riflessi-dalla-societa-dellirresponsabilita/?refresh_ce=1, 24 Agosto 2017.

Ford, S., Green, J., Jenkins, H. (2013), Spreadable media. I media tra condivisione, circolazione, partecipazione, (Trad. di Sala, V. B.), Milano, Apogeo Education.

Gladwell, M. (2006), Il punto critico. I grandi effetti dei piccoli cambiamenti, (Trad. di: Spinato, P.), Milano, BUR, Biblioteca Univ. Rizzoli.

Katz, E., Lazarsfeld, P.F. (1968), Morcellini, M. (a cura di) L’influenza personale in comunicazione, Roma, Armando editore.

Marino, G., Thibault, M. (2016), (A mo’ di) Prefazione. Oh, You Just Semioticized Memes? You Must know Everything. Un punto (e accapo) sulla semiotica della viralità. In: Marino, G., Thibault M. (a cura di), Lexia. Rivista di Semiotica, 25-26(2016), pp. 11-42, Roma, Aracne Editrice.

Marra, C. (2012), Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Milano, Bruno Mondadori.

Marsciani, F., Zinna, A. (1991), Elementi di semiotica generativa. Processi e segni della significazione, Bologna, Esculapio.

Patota, G., Rossi, F. (a cura di) (2018), L’italiano e la rete, le reti per l’italiano, goWare – Firenze, Accademia della Crusca.

Vittadini, N. (2018), Social Media Studies. I social media alla soglia della maturità: storia, teorie e temi, Milano, FrancoAngeli.

Volli, U. (2016), Il contagio della metafora. In: Marino, G., Thibault M. (a cura di), Lexia. Rivista di Semiotica, 25-26(2016), pp. 55-72, Roma, Aracne Editrice.

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