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MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers

SOCIAL NETWORK E POLITICA: UNA NUOVA IDEA DI DEMOCRAZIA

Articolo di Matteo Mercuri

Dal Blog “Tabulario” di Carlo Mazucchelli, 28 gennaio 2016

I social network hanno riportato la politica nel suo habitat naturale, nel luogo in cui è nata ma nel quale negli ultimi anni si è dimenticata di abitare; l’hanno rimessa in piazza, ridando voce a tutti e come sosteneva Umberto Eco, si, anche agli imbecilli. E come potremmo dargli torto. Purtroppo, è usanza molto diffusa sentirsi in dovere di dire la propria riguardo a tematiche mainstream anche senza avere conoscenze sufficienti per farlo. Della serie “non importa come, l’importante è che se ne parli”. È necessario, quindi, sfruttare quel che rimane del nostro ottimismo per provare a guardare l’ineluttabile avvenimento da un’altra prospettiva. Gli imbecilli ci sono sempre stati e il fatto che adesso siano sotto i riflettori, o, per riprendere le parole del maestro, “abbiano lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel, danneggiando così la collettività”, enfatizza e mette sotto gli occhi di tutti un problema culturale con il quale è necessario fare i conti.
Il connubio tra social network e politica può portare veramente a risultati positivi, ma questo dipende soltanto da noi. C’è chi ne ha colto le potenzialità e ne fa un valore aggiunto e chi invece non riesce a trovarci nient’altro che il male assoluto; la sostanziale differenza è che i secondi stanno ancora pensando a come fermare o evitare qualcosa che non si può nè fermare nè evitare ed i primi possono vantare risultati altrimenti difficili da ottenere. Spero ne conveniate con me che la faccenda è complessa e mi perdonerete ma bisogna prenderla alla larga, aggirarla. 

Siamo tutti sul palco

Copertina della rivista “Time” del dicembre 2006 dedicata alla persona più influente dell’anno
Nel dicembre del 2006, la nota rivista “Time”, per la consueta copertina dedicata alla persona più influente dell’anno, opta una scelta davvero particolare, in controtendenza rispetto alle precedenti; viene infatti raffigurato lo schermo di un computer con su scritto “You” ed in basso viene riportata la dicitura “Yes, you. You control the information age. Welcome to your world”. Il riferimento è all’internauta, a tutte le persone che hanno partecipato all'esplosione della democrazia digitale usando Internet ed il Web per diffondere parole, immagini e video, contribuendo al successo di siti come 'YouTube' o 'MySpace'. Pensate che in quello stesso anno nacque Twitter mentre Facebook, nato nel 2004 in forma privata, apriva le porte a qualsiasi persona avesse 14 anni e un indirizzo e-mail. Direi che ci avevano preso in pieno; quella copertina annunciava l’alba di un mondo in cui un individuo, in qualche modo, avrebbe avuto la possibilità di influenzarne diversi milioni. All’improvviso stava cambiando tutto e al centro di quella rivoluzione ci siamo proprio noi, capite ? Ne siamo i protagonisti. 

Questo segna un cambiamento emblematico che non possiamo tralasciare; il passaggio dal modello comunicativo “one-to-many” a quello “many-to-many”. Il primo è rappresentativo in particolar modo dell’industria televisiva e della stampa che decidono cosa è più o meno adatto per entrare nella sfera dell’opinione pubblica, quindi quali sono i parametri per esporre la realtà e da quale punto di vista filtrarla. Una comunicazione rivolta a riceventi passivi, privi di una coscienza critica e costretti solamente a metabolizzare un’informazione. Il secondo è il risultato della combinazione vincente tra internet e social, che ci ha tolto da quella posizione di impotenza, buttandoci direttamente sul palco e – anche se forse non eravamo pronti – possiamo gioirne, perché infondo è una bella conquista. Semplicemente, molti che si relazionano con molti. Siamo diventati produttori di contenuti, esperti nel condividere e nel mettere in discussione la nostra opinione e quella degli altri. Abbiamo i mezzi per dire la nostra in qualsiasi momento, su qualsiasi cosa e potenzialmente a qualsiasi persona. Vi sembra poco? D’accordo, lo sanno tutti, ma è importante averne la consapevolezza.

Le opportunà per la classe politica

Ora possiamo provare a rispondere alla domanda: i social network fanno bene alla politica? L’utilizzo dei social network da parte dei politici e dei cittadini, ovviamente in ottica politica, può avere riscontri positivi in termini di trasparenza, attivismo e partecipazione? Analizzeremo entrambe le situazioni e proveremo a trarne le conclusioni. Quel che è certo è che i social hanno contribuito ad accorciare in modo significativo la distanza tra attivisti di partito e base elettorale, tra classe politica ed elettorato. Il contatto è disintermediato, più diretto e non sono più indispensabili i mass media per diffondere messaggi, notizie o pensieri. Ogni politico può comunicare e relazionarsi con i cittadini quando lo ritiene opportuno senza il rischio di essere strumentalizzato o frainteso e, qualora accadesse, può tranquillamente difendersi e riportare il suo pensiero, la sua versione dei fatti. La rete può essere utilizzata per raccogliere consenso intorno a petizioni e proposte politiche, per influenzare le decisioni istituzionali (Giansante, 2014). 


Nella foto sono ritratti Guillaume Legey, Arthur Muller e Vincent Pons insieme a François Hollande, dal Blog di Gianluca Giansante

Con foto, video e dirette streaming si può testimoniare e spiegare la propria attività politica quotidiana, tenendo aggiornato chiunque sia interessato che a sua volta può interagire, effettuare sollecitazioni o chiedere ulteriori chiarimenti. 

Dal 52° Rapporto Censis del 2018 sulla situazione sociale del Paese, possiamo evincere che «i giudizi positivi sulla disintermediazione digitale in politica sono espressi da una percentuale che sfiora la metà degli italiani: complessivamente, il 47,1%. Il 16,8% ritiene che siano preziosi, perché così i politici possono parlare direttamente, senza filtri, ai cittadini. Il 30,3% pensa che siano utili, perché in questo modo i cittadini possono dire la loro rivolgendosi direttamente ai politici. Invece, il 23,7% crede che siano inutili, perché le notizie importanti si trovano nei giornali e in tv, il resto è gossip. Infine, il 29,2% è convinto che siano dannosi, perché favoriscono il populismo attraverso le semplificazioni, gli slogan e gli insulti rivolti agli avversari». 

Tutto sommato, le percentuali attestano che una buona fetta della popolazione riconosce nei social network una grande opportunità per diverse finalità politiche. Va poi considerato che, come fa notare lo stesso comunicato stampa, la visione più negativa è supportata in gran parte dalle fasce più anziane che magari non hanno sviluppato una certa dimestichezza con l’utilizzo di queste piattaforme. Viene inoltre riportato che il 66,4% degli italiani non reputa i social network abbastanza credibili come fonte informativa; la questione è che i social non sono un’agenzia di informazione e se si ha intenzione di sostituirli ai canali più accreditati è necessario mettere in gioco le proprie abilità, paragonare le notizie e consultare più fonti per non incorrere nella trappola delle fake-news o abboccare alle opinioni nettamente imparziali di qualche blogger di partito, spesso riprese e pubblicate anche dai quotidiani online. I dati sono tanto utili quanto noiosi, ma sono indispensabili per farci un’idea della percezione collettiva della tematica. 

È largamente condivisibile che la classe politica possa trovare nei social network un mezzo per recuperare due delle cinque funzioni che W. Bagehot, in riferimento alla Camera dei Comuni, affibbiava al Parlamento; ovvero la funzione pedagogica che consiste nell’insegnare e nello spiegare alla nazione ciò che non sa o non è di facile comprensione, e quella informativa, diffondendo informazioni sulla legislazione e sugli affari correnti. Il linguaggio semplice ed informale è il segreto. È quello solitamente utilizzato nei social ed oltre che facilitare queste funzioni, pone il politico al livello del cittadino, con il quale accorcia la distanza e rinforza il rapporto di fiducia che, immancabilmente, per poter durare, dovrà essere sostenuto da fatti concreti.

Infatti, come sostiene Gianluca Giansante nel suo libro “La comunicazione politica online”, la comunicazione sul web va considerata, non come un percorso chiuso, ma come la prima tappa di un flusso a due stadi in cui la mobilitazione online, concentrata su fasce particolarmente impegnate della popolazione, prelude alla persuasione di settori molto più vasti, raggiunti attraverso l’effetto moltiplicatore della comunicazione interpersonale, sia in rete, in particolare attraverso i social network, sia al di fuori di essa. Uno dei casi più emblematici, che testimonia come un uso consapevole e attento della rete coadiuvato con una vera e propria mobilitazione fisica possa essere la ricetta giusta per ottenere grandi risultati, è quello che vede protagonisti tre ragazzi nella messa in atto della campagna elettorale di François Hollande del 2012, che lo portò poi alla presidenza della Repubblica. I giovani Guillaume Legey, Arthur Muller e Vincent Pons iniziarono dal risultato del loro stesso studio che indicò il metodo “porta a porta” (un contatto diretto con i cittadini) come la tecnica più valida per mobilitare gli astensionisti, riavvicinando la struttura politica all’elettore e facendogli capire che dietro un apparato sentito come distante e arido ci sono persone, passioni e impegno per il bene comune. Oltre che molto più economico rispetto a tante altre forme di coinvolgimento, questo metodo si rivelò fondamentale per toccare con mano le configurazioni dell’opinione pubblica, così da poter optare scelte oculate in merito alla formazione di strategie complesse. I tre ragazzi organizzarono la più grande mobilitazione mai realizzata prima in Europa: una campagna che ha portato 80.000 volontari a bussare a 5 milioni di porte, contattando in modo diretto quasi il 10% dell’elettorato ottenendo un’ottima risposta in termini di attivismo politico e partecipazione al voto. A questo punto vi starete chiedendo dove sia finita la rete. Ebbene, il web è stato uno strumento chiave in tutte le fasi dell’iniziativa, per costruire consenso e fiducia nei confronti del candidato, per far crescere l’interesse e la curiosità intorno all’operazione, per mobilitare i volontari e metterli in relazione fra loro, per formarli a una modalità di azione nuova e per organizzare piccoli gruppi di contatto con i cittadini. Grazie alla rete è stato possibile dare un supporto e far fronte a qualsiasi tipo di esigenza dei volontari sparsi su tutto il territorio nazionale da parte di un piccolo nucleo di coordinamento centrale. Questa esperienza ci aiuta a chiarire un punto: a differenza di altri mezzi di comunicazione, la rete non rende le campagne più automatizzate e distanti, ma fornisce gli strumenti per farle diventare più vicine e più umane, per rimettere le persone e le relazioni interpersonali al centro del processo politico (Giansante,2014). 

Il cambiamento è a portata di mano

Non c’è bisogno che qualcuno lo decida per noi. Fino ad ora abbiamo discusso ed esplorato come la classe politica possa sfruttare varie piattaforme per avvicinarsi all’elettorato, coinvolgerlo e mobilitarlo, ma è pur vero che gli stessi strumenti sono a disposizione di qualsiasi individuo, rendendolo più autonomo e indipendente che mai. Questo vuol dire che possiamo realmente essere il centro di ogni processo politico ed avere la possibilità di influenzarne l’andamento. Molte persone l’hanno capito, hanno preso consapevolezza del mezzo di cui possono avvalersi e ne hanno fatto un’arma in più così da reinventarsi la lobby più potente di qualsiasi altra. Negli ultimi dieci anni, in diverse parti del mondo si sono sviluppati diversi movimenti sociali aventi molte cose in comune, tra cui la nascita a partire dalla rete e una reazione dettata da insostenibili ingiustizie o fratture sociali latenti. Le rivolte arabe tra l 2010 e il 2011, il movimento M-15 per un cambio radicale della politica spagnola nel 2011, il movimento Occupy Wall Street concretizzatosi in diverse dimostrazioni nella città di New York contro il capitalismo finanziario nel 2011, il movimento in Brasile contro il modello di sviluppo economico e la corruzione politica tra il 2013 e il 2014; questi sono soltanto alcuni esempi ma se fate un ultimo sforzo, ne citeremo uno che è più recente e di cui avrete sicuramente sentito parlare. 

Adesso ci sarà utile rispondere ad una domanda; come possono nascere i movimenti sociali dalla rete? Manuel Castells crede che il big bang di un movimento sociale riguardi la trasformazione dell’emozione in azione. Secondo la teoria dell’intelligenza affettiva le emozioni più rilevanti per la mobilitazione sociale sono la paura (affezione negativa) e l’entusiasmo (affezione positiva). 

Quest’ultimo è direttamente congiunto con un’altra emozione positiva che proietta il comportamento verso il futuro, ovvero la speranza; un ingrediente fondamentale per dare sostegno a un’azione mirata a un obiettivo specifico. Tuttavia, per consentire all’entusiasmo di emergere e alla speranza di manifestarsi, gli individui devono prima superare l’effetto paralizzante dell’ansia, tipica reazione ad una minaccia esterna su cui la persona minacciata non ha controllo. Nei comportamenti socio-politici il superamento dell’ansia è dovuto ad un’altra emozione negativa: la rabbia, la quale aumenta con la percezione di un’azione ingiusta e con l’identificazione del responsabile di tale azione. Ed infine, per far sì che questi movimenti abbiano luogo, il tutto deve ramificarsi e definirsi attraverso un uso consapevole dei canali di comunicazione. In altre parole, se molti individui in relazione tra loro, condividono un senso di sopraffazione, umiliazione o incomprensione che riescano ad incanalare in un efficace processo comunicativo ed organizzativo capace di portarli alla protesta contro un nemico comune, allora possono superare la paura iniziale e prepararsi all’azione.  Più tale processo è veloce e interattivo, e più diventa probabile l’avvio di un processo di azione collettiva, radicato nell’indignazione, sospinto dall’entusiasmo e motivato dalla speranza. 


Foto scattata durante la manifestazione del movimento dei Gilet Gialli sabato 24 novembre, Huffington Post

Il movimento dei Gilet Gialli che si è riversato nelle strade di Parigi qualche mese fa è l’ennesima dimostrazione di come tanti cittadini, condividendo, ricondividendo e rendendo virali contenuti nel mondo del web, si relazionino e si accorgano di essere accomunati da un senso di disapprovazione, arrivando così ad organizzarsi per una mobilitazione fisica vera e propria. La protesta, come sappiamo, è scaturita originariamente dall’aumento del prezzo del carburante previsto a partire dal 2019, alimentata da un uso intensivo e accurato dei social network. Ma il fattore che spinse le persone a scendere in piazza fu la creazione di un evento Facebook da parte di due camionisti trentenni, avente come obiettivo quello di bloccare tutte le strade francesi. Sempre sui social network l’evento fu pubblicizzato e sostenuto da decine di video virali contro il Presidente Emmanuel Macron. Furono coinvolte persone di orientamenti politici completamente diversi, che rinunciarono alle bandiere di partito e decisero di indossare le pettorine gialle, simboleggiando gli automobilisti e gli autotrasportatori (la categoria più colpita dal rincaro sul prezzo del carburante). Così, il 17 novembre migliaia di gilet gialli escono dalla rete e si materializzano per la prima volta nelle strade e nelle piazze francesi dando vita ad una lunga ondata di proteste. 

«Nessuno se l’aspettava. In un mondo offuscato dalla crisi economica, dal cinismo politico, dal vuoto culturale e dallo sconforto individuale, qualcosa stava prendendo corpo. [...] I maghi della finanza passavano da oggetto dell’invidia generale a bersaglio del disprezzo universale. I politici venivano smascherati come corrotti e bugiardi. I governi messi sotto accusa. I media sospettati. Scomparsa ogni fiducia. E la fiducia è quel che tiene insieme la società, il mercato le istituzioni. Senza fiducia tutto si ferma. [...] Eppure ai margini di un mondo giunto ai limiti della capacità di una vita collettiva per gli esseri umani e della condivisione di tale vita con la natura, alcuni individui si erano ritrovati ancora una volta insieme alla ricerca di nuove forme per tornare a essere noi, il popolo.” (M. Castells, 2015)

Dal Web derivano possibilità e responsabilità

Il movimento dei Gilet Gialli è una sommossa popolare, che insieme a tutte le altre, ribadisce ancora una volta una consuetudine, una modalità di organizzazione e di azione collettiva che ormai ha preso piede in tutto il mondo. Infatti, come i contenuti che vengono condivisi sui social network, i movimenti sono virali; guardare e ascoltare le manifestazioni di protesta in atto da qualche parte, perfino in contesti lontani e culture differenti, ispira la mobilitazione perché fa scattare la speranza del possibile cambiamento. Continueranno quindi a ripetersi, e pur se in genere sono radicati nello spazio urbano tramite occupazioni e manifestazioni di piazza, la loro continua esistenza si manifesterà nello spazio libero di internet dove non necessitano di una leadership formale, di un centro di comando o di controllo, né di un’organizzazione verticale per distribuire informazioni o istruzioni. Questa struttura decentrata massimizza la possibilità di partecipazione, trattandosi di reti aperte senza confini definiti, in continua riconfigurazione a seconda del livello di coinvolgimento della popolazione. Inoltre la loro struttura multinodale, sia su internet che negli spazi urbani, crea unità e questo è un fattore chiave per il movimento, perché è tramite la compartecipazione che si supera la paura e si scopre la speranza. Ora, per chiudere il cerchio, poniamoci un’ultima domanda: quale potrebbe essere l’eventuale eredità dei movimenti sociali in rete tutt’ora in divenire? La democrazia, una democrazia di tipo nuovo. Una vecchia aspirazione dell’umanità, mai soddisfatta. Dalla disperazione più profonda, un po’ ovunque, sono emersi un sogno ed un progetto: reinventare la democrazia, trovare dei modi per consentire agli esseri umani di gestire collettivamente la propria vita in base a principi ampiamente condivisi tra loro ma generalmente ignorati nell’esperienza quotidiana. L’eredità dei movimenti sociali in rete potrà essere quella di aver fatto emergere la possibilità di apprendere di nuovo come vivere insieme. Nella democrazia reale.  

Abbiamo ampiamente trattato, sia dal punto di vista della classe politica, che del cittadino, come l’utilizzo del web e dei social network può giovare nell’ambito politico e sociale per mettere in pratica azioni e ottenere risultati molto più facilmente rispetto al passato. È vero, non sono stati menzionati gli aspetti negativi e le criticità; sappiamo benissimo che ce ne sono e che probabilmente siano ineliminabili, ma sicuramente possono essere ridotte, contenute. A tal proposito, riprendiamo un attimo la copertina del “Time”, guardiamola e rileggiamola. Si, noi. Noi controlliamo l’età dell’informazione. È il nostro mondo, quello che abbiamo voluto; un sistema di realtà a doppia forza motrice, dove la distinzione tra mondo vero e mondo virtuale decade a confine secondario, dato che l’uno e l’altro si fondono in un unico movimento che genera, nel suo complesso, la realtà. Da tutto ciò ne derivano possibilità e responsabilità. Dobbiamo solo imparare a stare sul palco.  




Bibliografia

Giansante, G. (2014). La comunicazione politica online. Come usare il web per costruire consenso e stimolare la partecipazione. Roma: Carocci.

Castells, M. (2015). Reti di indignazione e speranza: movimenti sociali nell'era di internet. Università Bocconi Editore.

Baricco, A. (2018). The game. Einaudi Editore.

Sitografia

Comunicato stampa del Censis sul 52° rapporto sulla situazione sociale del paese (2018) http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121190 


Intervista a Sara Bentivenga del 2017 sul rapporto tra Web, Social e Politica https://www.fondazionebassetti.org/it/focus/2018/01/il_web_e_una_risorsa_per_la_po.html


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