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MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers

Lo smartphone non dimentica, il tuo cervello si.

Articolo di Giulia Alù 

Nell'antichità la divulgazione del sapere era affidata alla comunicazione orale e la memoria risultava essere l'unico archivio personale di informazioni. Grazie al progresso tecnologico, oggi abbiamo a disposizione diversi sistemi di immagazzinamento di dati a scapito delle capacità mnemoniche della mente.



L'essere umano nel corso della sua vita incamera una vastissima quantità di informazioni e di ricordi e, sui ricordi soprattutto, basa la propria identità. Oggi, la continua digitalizzazione di ogni aspetto della nostra vita ha indebolito le nostre capacità mnemoniche in quanto smartphone, pc e tablet sono in grado di contenere le nostre informazioni personali e ricordarle per noi.

I compleanni dei nostri cari, gli eventi in programma e i numeri di cellulare sono tra i dati più frequentemente affidati ai device. Tendendo a digitalizzare tutto ciò che dovremmo ricordare con l'aiuto della memoria, siamo portati a dimenticarle più facilmente, certi che i dati a noi utili siano impressi su una memoria esterna. Kaspersky, nota azienda produttrice di antivirus, in una ricerca condotta nel 2015, spiega questo fenomeno con il concetto di digital amnesia (Kaspersky, 2015).

Nella memorizzazione il processo attentivo gioca un ruolo fondamentale: se siamo attenti, siamo in grado di capire, imparare e ricordare. Infatti è anch'esso implicato nel fenomeno della digital amnesia  in particolar modo quando non lo mettiamo in atto in situazioni che reputiamo importanti e significative. Nell'ultimo decennio siamo portati immediatamente a filmare e fotografare ciò che vediamo con i nostri occhi e siamo tendenzialmente più attenti a imprimere il ricordo sullo smartphone che nella nostra memoria.

L'inclinazione che gli esseri umani hanno acquisito a causa della tecnologia, non è solo di origine inconscia ma è data da alcuni meccanismi del nostro cervello il quale cambia comportamento in base agli stimoli a cui lo sottoponiamo. Quando ci affidiamo alla tecnologia, dandole il compito di ricordare per noi, le informazioni che le abbiamo fornito diventano superficiali e non sentiamo più la necessità di doverci sforzare per ricordare alcun dato. Siamo inoltre sottoposti ad un sovraccarico di informazioni, che diventano labili e svaniscono facilmente dalla memoria per via dei mezzi che utilizziamo per reperirle. Internet sembra ormai fungere da memoria esterna per ognuno di noi, capace di contenere infinite informazioni a cui possiamo fare riferimento in qualsiasi momento e non vi è bisogno di alcuno sforzo per ricordarle (Sparrow, Liu, Wegner, 2011).

Quali solo le ripercussioni più significative della tecnologia su di noi?

Nicholas Carr nel suo libro "Internet ci rende stupidi?" (2011) sostiene che l'uso eccessivo che facciamo dei dispositivi e di internet nuoce alla nostra memoria a lungo termine. Lasciando che esperienze e fatti siano dimenticati, contribuisce a non riuscire a formare idee complesse e pensieri che diano ricchezza alla nostra persona. Secondo Carr (2011) siamo destinati a diventare superficiali e incapaci di distinguere le informazioni importanti da quelle che non hanno priorità, in quanto utilizziamo internet come il nostro hard disk esterno di cui facciamo uso ormai in maniera meccanica. Secondo il modus operandi comune a tutti gli uomini, quello che ricordiamo lo condividiamo con altri individui e – quando qualcosa sfugge alla nostra memoria – consultiamo gli altri per avere risposte; oggi questo processo sociale viene tradito poiché deleghiamo ad internet ciò che dovremmo ricercare nel nostro gruppo sociale o nella nostra memoria.

Tra i danni alla memoria e all'attenzione, possono essere annoverati la tendenza a sognare a colori, come dimostra uno studio dell'Università di Dundee in Scozia (Murzyn, 2008). Lo studio condotto nel 2008 su due gruppi di età ed esperienze diverse, ha dimostrato come gli adulti con un'età superiore ai 55 anni cresciuti in una famiglia dove il televisore era in bianco e nero, sono portati a sognare in scala di grigi, a differenza dei nati nell'era del Technicolor che sognano a colori. Oltre allo stimolo visivo, l'udito non è meno condizionato; le phantom vibrations (Drouin, Kaiser & Miller, 2012), in uno studio condotto su 290 studenti pubblicato sulla rivista Comupertes and Human Behaviour nel 2012, colpiscono l'89 % dei soggetti intervistati: avvertire la vibrazione del proprio cellulare anche quando questo non sta vibrando affatto.

L'impatto sulla memoria resta il più significativo come dimostrano le ricerche condotte sulla digital amnesia (2015) e il Google Effect (2011). 


La digital amnesia

Kaspersky, azienda russa produttrice di antivirus ha condotto nel 2015 una ricerca i cui risultati hanno portato a definire il fenomeno studiato come digital amnesia (Kaspersky, 2015). La ricerca è stata condotta su un campione di 6000 individui con età comprese tra i 16 e i 55 anni, equamente divisi in uomini e donne, provenienti da 6 paesi europei diversi: Italia, Germania, Francia, Inghilterra, Spagna e Benelux. Lo scopo della ricerca è quello di capire in che modo i dispositivi digitali e internet influenzano il recupero e la memorizzazione delle informazioni e come stanno cambiando i nostri comportamenti, il nostro modo di pensare e di operare.

Dalla ricerca (2015) è emerso che oltre la metà degli europei intervistati non riesce a ricordare i numeri di cellulare dei propri figli (71%), dell'ufficio o di casa (57%).

La dipendenza dai cellulari è stata riscontrata in poco più della metà dei soggetti (53%), dichiarando che sul proprio smartphone ci sono i più importanti dati personali e che se dovessero perderli risulterebbe un grosso problema. 


Google Effect 

Lo studio è stato condotto da tre professori universitari degli Stati Uniti: Besty Sparrow della Columbia University, Jenny Liu della University of Wisconsin - Madison e Daniel M. Wegner di Harvard (2011), con lo scopo di esplorare se avere l'accesso ad internet è diventata la prima fonte di memoria transattiva degli esseri umani. Lo studio (2011) è stato diviso in 4 parti: la prima parte prevedeva un quix di cultura generale con lo scopo di misurare il tempo di reazione alla risposta: le risposte erano divise in facili o difficili, parole di ordine quotidiano e parole legate alla tecnologia e dai risultati è stato notato come i soggetti abbiano risposto più lentamente alle domande riguardo la sfera tecnologica. Secondo Wegner, di fronte ad una lacuna, i soggetti sono pronti a colmarla rivolgendosi al computer: così, i termini riguardo al pc hanno interferito e rallentato i tempi di risposta, portando i soggetti a pensare di poter ricorrere ad internet per trovare la risposta esatta. La seconda parte poneva i soggetti di fronte ad affermazioni banali e la metà dei sottoposti al test è stata convinta che tali affermazioni potessero essere consultate in un secondo momento, mentre l'altra metà è stata spinta a ricordare in autonomia le affermazioni: quando la prima metà è stata invitata a ricordare le affermazioni ha mostrato più incertezza e una tendenza superiore a dimenticare rispetto alla seconda. Nel terzo esperimento ai soggetti è stata fatta digitare una frase sul computer: ad alcuni è stato detto che la frase sarebbe stata cancellata, ad altri che sarebbe stata salvata e alla restante parte non solo che sarebbe stata salvata ma anche dove. Dopo aver sottoposto i soggetti a tre test che chiedevano di riconoscere se la frase fosse stata alterata rispetto a quella scritta da loro stessi, se fosse stata salvata e – se si – dove si trovasse, ne è emerso che la maggior parte dei soggetti era in grado di ricordare solo la posizione del testo nella pagina, non il contenuto della frase né l'alterazione rispetto all'originale. L'ultimo test era simile al precedente, con una sola differenza: le frasi scritte venivano salvate in una cartella con due denominazioni diverse e anche in questo caso i soggetti hanno mostrato come ricordassero più facilmente la posizione del file salvato, piuttosto che il contenuto del file stesso.

Mentre facciamo uno sforzo cosciente per imparare, dobbiamo fare due scelte: quali informazioni sono abbastanza importanti da ricordare e quali dettagli meritano la nostra preziosa attenzione. Tuttavia, sapendo che un'unità di memoria esterna sta memorizzando tutte le informazioni disponibili, tendiamo a svalutare entrambe le opzioni. 


Conclusioni 

I ricercatori hanno concluso che internet e il computer sono diventati una parte integrante della nostra memoria transattiva (Sparrow, Liu & Wegner, 2011), utilizziamo un muro virtuale che si innalza tra noi e la condivisione con altri individui di informazioni. L'uomo si sta evolvendo plasmandosi alla realtà che lo circonda e numerosi studi dimostrano che l'interazione tra uomo e computer alleni molte capacità del cervello umano. Tuttavia, questo presenta una grande quantità di svantaggi: le informazioni apprese tramite Internet sono richiamate con minore accuratezza e sicurezza rispetto all'apprendimento tramite un libro o un documento cartaceo. Inoltre, in base ai risultati delle ricerche sopra riportate, si deduce che se non utilizziamo frequentemente le informazioni apprese, alcune di queste a poco a poco vengono dimenticate, soprattutto se la memorizzazione autonoma viene scavalcata e si affida tutto allo smartphone. In conclusione, il "cognitive offloading" (Risko & Gilbert, 2016), ovvero "scarico cognitivo" sembra il concetto più adatto a riassumere ciò che sta accadendo: scarichiamo la responsabilità di ricordare ad un oggetto esterno, dimenticando non solo l'informazione, ma anche il valore che questa  possiede. 
 

 
BIBLIOGRAFIA

Carr, N. (2011). Internet ci rende stupidi. Come la rete sta cambiando il nostro cervello. Milano: Raffaello Cortina.

Drouin, M., Kaiser, D. H., & Miller, D. A. (2012). Phantom vibrations among undergraduates: Prevalence and associated psychological characteristics. Computers in Human Behavior, 28(4), 1490-1496.

Murzyn, E. (2008). Do we only dream in colour? A comparison of reported dream colour in younger and older adults with different experiences of black and white media. Consciousness and cognition, 17(4), 1228-1237.

Risko, E. F., & Gilbert, S. J. (2016). Cognitive offloading. Trends in Cognitive Sciences, 20(9), 676-688.

Sparrow, B., Liu, J., & Wegner, D. M. (2011). Google effects on memory: Cognitive consequences of having information at our fingertips. science, 1207745. 

SITOGRAFIA

Kasperky, (2015) https://d1srlirzdlmpew.cloudfront.net/wp-content/uploads/sites/92/2017/06/06024645/005-Kaspersky-Digital-Am

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