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MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers...

LA VIOLENZA SUI SOCIAL

Articolo di Alice Luceri

Appena svegli, la mattina, ci si sente immersi in un turbine vertiginoso di coinvolgimento verso nuove sfide tra se stessi, il mondo circostante e la quotidianità, così semplice, quasi scontata, da poter essere spesso sminuita e fraintesa. Il 2019 è cominciato da pochi giorni e l’età del digitale, quella che cresce e si sviluppa al passo con ciascun utente dei Social, rende il Web 3.0 di Facebook, Twitter, LinkedIn e Instagram il vero e proprio luogo della massima socialità.

Ecco dove tutti comunicano, dove regna la condivisione totale, dove il tempo e lo spazio si perdono e si confondono fino a svanire.

Fonte: Rawpixel.com


Un Web capace d’influenzare la realtà

Un Web potenziato, un Web capace d’influenzare la realtà come mai successo prima, grazie ai Social, non rischierà di diventare, se non lo è già forse, un luogo dell’iper – realtà, dove si perde l’effettiva distinzione tra il reale ed il virtuale? Il binomio che regna nel XXI secolo è costituito da due elementi: utenti e il cuore pulsanti del web, dato da: interazione, condivisione e partecipazione.
La rivoluzione dei social media è la più travisata, distorta e tangibile trasformazione culturale dai tempi della Rivoluzione industriale. Come ha affermato Keen (2013), i social media indeboliscono e frammentano l’identità di ogni singolo individuo: disorientano, dividono le persone, non instaurano affatto una nuova era comunitaria e di uguaglianza tra gli esseri umani.

Uno, nessuno e centomila utenti connessi

Ecco dunque come prende vita il tragico paradosso di chiunque entri a contatto con il mondo della rete, dove l’incompatibilità tra il profondo desiderio di appartenenza alla comunità online e di amicizia co – esiste con l’altrettanto forte desiderio di libertà individuale (Keen, 2013).

Fonte: Freepik

Come viene espresso in Vertigine digitale: fragilità e disorientamento da social media, si prevede che verso la metà del XXI secolo quasi ogni essere umano del pianeta sarà connesso in modo elettronico, sottolineando come i concetti di condivisione, apertura, trasparenza personale e grande esibizionismo possano rivelarsi delle vere e proprie armi a doppio taglio.

La violenza dà un senso all’infelicità

Al giorno d’oggi sia i media che i classici mezzi d’informazione offrono una grande visibilità a fatti, organizzazioni, persone ed idee, con l’intento di denunciare e stigmatizzare i comportamenti per portarli alla pubblica attenzione. Le notizie negative suscitano risposte emozionali più forti e dunque provocano maggiore interesse, si guadagnano più pubblico rispetto alle notizie positive, inoltre si diffondono più velocemente, suscitando un interesse molto più elevato rispetto alle buone.
Michel Wieviorka, uno dei maggiori sociologi francesi che da anni studia i fenomeni di terrorismo e razzismo ha affermato più che altro […] la violenza estrema è nello spirito dei tempi, regna nell’informazione e nei social network. Triste dirlo, ma è così: è onnipresente. E fornisce perfino riferimenti, idee a chi ha una psicologia fragile. La violenza dà un senso all’infelicità di certe persone” (Marinelli, 2016).

Fonte: Freepik 

Il paradosso della visibilità

Si potrebbe quasi sostenere che i media premino chi deplorano. Ecco come nasce il paradosso della visibilità, proprio nel momento in cui i media amplificano ed esasperano la realtà! Nell’articolo scritto per La Stampa, Marinelli (2016), ha riportato un altro quesito che si è posto il sociologo Wieviorka: l’emulazione è una nuova chiave di lettura del terrorismo più recente?
“L’emulazione è un termine neutro: può essere splendida o terribile. Si possono emulare gli eroi o gli assassini” (Severgnini, 2016). Ma c’è ragione di domandarsi se l’emulazione sia un rischio concreto (Testa, 2016)? 

Quanto influiscono i mass media sul “crimine”?

Enzo di Stasio, fondatore e direttore del periodico d’informazione generalista InLibertà, ha chiesto aiuto al Prof. Gianfranco Marullo, criminologo e docente presso l’Università La Sapienza di Roma, per provare a far chiarezza su come i mezzi di comunicazione possano indurre all’emulazione. È un discorso complesso. L’influenza dei mass media sul crimine può provocare in alcuni soggetti una sorta d’identificazione in alcuni personaggi che vengono mitizzati e presi come modello, e ciò avviene in misura maggiore tra i membri delle bande giovanili legate ad attività criminali da strada (spaccio di droga, violenza, armi). “Negli USA, dopo la strage di Columbine, il numero degli omicidi nelle scuole è aumentato, forse in questo caso una sorta di emulazione c’è. Ma ripeto, è un discorso complesso a cui vanno aggiunti i social network, i giochi della playstation e le influenze che questi hanno sullo sviluppo psicologico delle nuove generazioni”. (Di Stasio, 2014).

Fonte: Kjpargeter

Come ragiona l’opinione pubblica?

Prestando attenzione al significato di opinione pubblica, si potrebbe dunque affermare che quest’ultima sia suggestionabile e, come sostengono numerosi blogger ed esperti di comunicazione, “l’unico criterio di scelta delle persone, isolate e frastornate [dal vortice infinito di notizie], passa da questa equivalenza: visibile = importante = migliore” (Testa, 2018). Ecco come ciascun utente prende decisioni in base a ciò che sente o sa. Secondo Zanacchi (2006) ‘’opinione pubblica’’ è un’espressione molto usata, ma dal significato quanto mai controverso, al punto che alcuni, come ha fatto lo stesso Pierre Bourdieu, negano l’esistenza del fenomeno.

Qual è il ruolo dei media?

Qual è, dunque, il ruolo dei mass media nella società moderna? Non sarà forse arrivato il momento di seguire il consiglio di Jean – Marie Colombani, giornalista, saggista e storico direttore del quotidiano francese Le Monde dal 1994 al 2007, che suggerisce di continuare a offrire le notizie, evitando però di esaltare idee folli e violenza, ponendo la parola fine all’identificazione dei terroristi come degli eroi?
Più le persone sono orribili e più i fatti sono atroci e spaventosi, più ampiamente vengono ripresi, rappresentati, raccolti, commentati in un turbine tossico e senza fine.
Come ci si deve comportare quando non si può né stare in silenzio né mostrare indifferenza? Ragionare? Moderarsi? Distinguersi? Tenere sotto controllo le proprie emozioni? Procedere con cautela, riducendo gli automatismi? Non si dovrebbe forse pensare alle conseguenze e scegliere responsabilmente quel che si può (o non si può) dire o mostrare (Testa, 2016)?

“Emulazione nuda e cruda”: è lei che insegue o viceversa?

La situazione, attualmente, diventa sempre più grave giorno dopo giorno. Non si parla più di suicidi d’ispirazione letteraria, della suggestione tragica che ha avuto origine in letteratura e cominciata come autosuggestione, (come nel caso de Le ultime lettere di Jacopo Ortis o de I dolori del giovane Werther per cui alcuni Paesi, per anni, ne vietarono la circolazione per colpa dell’effetto Werther, nato da un amore impossibile e la cui unica fuga da un mondo ipocrita veniva concepita nella morte) ma di omicidi e stragi, spesso d’ispirazione religiosa. Gli amplificatori non sono più i libri o i film, come la serie TV Breaking Bad (sospettata di aver ispirato numerosi reati), ma i social media e i media classici: il racconto e i commenti di una strage rischiano d’ispirarne altri.
Non ha forse ragione Testa (2016) quando riporta il pensiero di Beppe Severgnini, il quale sostiene che se si potenzia il fenomeno o l’individuo che s’intende condannare, conferendogli una visibilità che supera l’aura della notizia in sé, questa si espande come un fungo nucleare rafforzando, sempre più, proprio gli aspetti che si sarebbero voluti censurare? Scatenando quindi reali rischi come l’emulazione nuda e cruda?

Basta spettacolarizzare la morte!

I giornalisti dovrebbero smettere di spettacolizzare la morte sia sui giornali, che in televisione, che sui siti Internet o sui social. “Dobbiamo astenerci dal fornire dettagli delle esecuzioni […] e dobbiamo imparare a pesare le parole” (Severgnini, 2016).
I giornalisti non devono diventare l’ufficio – propaganda dei nuovi mostri o fornire il “libretto d’istruzioni” per i futuri assassini. L’emulazione si alimenta principalmente dalle descrizioni macabre e precise, da grafiche fin troppo istruttive, da biografie che diventano, anche se in modo involontario, delle glorificazioni di atti che andrebbero censurati.

A piccoli passi si ottiene tutto…

Come si potrebbe uscire dal paradosso della visibilità? Il primo passo, nonché modo migliore per farlo è la silenziosa indifferenza. Anche l’indifferenza comunica. Il silenzio, ce lo ricorda Papa Bergoglio (2016) nella sua visita ad Auschwitz, è comunicazione! Spesso, rimanere in silenzio è la miglior scelta da intraprendere.

Fonte: Rawpixel.com

Sono diversi gli approcci di ricerca tesi alla realizzazione di un’esposizione chiara e definita del quesito relativo all’effettivo ruolo dei media nella società odierna.
A tal proposito si deve prestare particolare attenzione alle decisioni portate avanti da diversi mezzi di comunicazione. Ci si potrebbe soffermare ad una semplice e superficiale comparazione tra giornali, radio, Tv e Social. Ma questa non vuole essere solamente una ricerca quantitativa legata a quanti mass media si avvicinano ad una determinata filosofia di pensiero, approccio lavorativo o presa di decisione che dir si voglia. Quel che si è voluto fare è stato orientare l’attenzione verso una possibile risposta alla tesi del contributo proposto anche attraverso un’analisi qualitativa, dove sia Jérôme Fenoglio, direttore dell’editoriale Le Monde dal 2015, Hervé Beroud, direttore della stazione televisiva BFM – TV, il giornale cattolico La Croix, Radio Europe 1 e il canale televisivo France 24, hanno mirato ad una presa di coscienza, nata proprio da parte dei media, attraverso la mancata pubblicazione di immagini violente e di terroristi, per evitare la glorificazione postuma di questi ultimi.

Come resistere, dunque, alla strategia dell’odio?

Se si presta attenzione al panorama mediatico rimodellato dalla rivoluzione digitale, senza la consapevolezza delle aziende che controllano i social network e i nuovi mass media, sarà sempre più difficile resistere agli effetti della strategia di odio verso “qualcuno”. I migliori alleati, voci o cospirazioni che siano, sono oggi collocati pari livello alle informazioni affidabili, certe e verificate (Fenoglio, 2016).
Un esempio lampante è stato il caso del giornale Le Monde, che ha più volte modificato le proprie metodologie di divulgazione delle notizie ai suoi lettori. La strategia portata avanti è stata quella di non pubblicare più immagini estratte da una propaganda Isis o da documentari di advocacy. In seguito all’attacco a Nizza non verranno più pubblicate fotografie degli autori di uccisioni, proprio per evitare possibili effetti della glorificazione postuma.
Portando avanti le ricerche è stato appurato che il cambio di rotta dell’approccio informativo di Le Monde è nato a seguito di un amaro fatto che ha colpito tante menti e tanti cuori. Non a caso, Jérôme Fenoglio (2016) ha infatti sostenuto: “lo dobbiamo alla memoria di padre Jacques Hamel, assassinato nella sua chiesa”.
Infine, un altro esempio da riportare potrebbe essere quello dell’intervista effettuata da un giornalista di un grande settimanale nazionale ad Annamaria Testa che si rifiutò di rispondere a domande relativa a quanto, secondo lei, avrebbe comunicato bene il terrorismo islamico. L’articolo uscì comunque: “l’abilità comunicativa dei terroristi viene celebrata e l’unica consolazione è che i terroristi non bevono champagne” (Testa, 2016).

Scacco matto al copycat crime?

I pensieri descritti, i dibattiti sostenuti e le regolazioni alle pratiche di condivisione di una notizia, sono strumenti tipici della nostra modernità, dei mass media della società moderna, di coloro che devono comunicare, che devono trasmettere informazioni, ma che convivono con la costante, opprimente, incessante violenza sui social. Ecco come forse si potrebbe spezzare il circolo vizioso della strategia dell’odio, di quella glorificazione fine a se stessa, glorificazione postuma dell’attentatore, che potrebbe spingere altre persone a compiere atti simili, il cosiddetto copycat crime, l’emulazione di crimini: un crimine che appare influenzato da un altro, celebre crimine. Il copycat potrebbe essere tradotto in italiano come “copione”; dopotutto, purtroppo, si può plagiare anche l’orrore. Non è sufficiente pensare che questo termine sia stato usato per la prima volta nel 1916, in seguito alla catena di omicidi ispirati da Jack the Ripper (Jack lo Squartatore)?

Fonte: Freepik.com

Il sangue chiama sangue

Ogni strage ne ispira un’altra in una lenta, amara, macabra progressione. Il male genera male, il sangue chiama sangue, l’imitazione dell’orrore genera altro orrore!
Parlare di “successo di un attentato è sbagliato”! Loren Coleman, un etologo americano, ha affermato “i media devono abbandonare i cliché del “bravo ragazzo della porta accanto” e del “lupo solitario”, [ricordando per quale missione il loro lavoro è devoto]” (Coleman, 2004).
Alla luce di tutti questi risultati, bisognerebbe limitare e filtrare le immagini che poi se ne vanno in giro nude e crude per la rete e, prive di commento, nella migliore delle ipotesi rischiano di scatenare fenomeni di curiosità morbosa, nella peggiore, invece, finiscono per moltiplicare la memorabilità di quanto o chi si dovrebbe condannare.

Quando cavalcare l’onda emozionale?

“La sfida dei professionisti della comunicazione è dunque quella di produrre informazione sul progresso e la giustizia, sperando che arrivi lontano quanto quella che sparge rabbia, frustrazione ed invidia” (Appadurai, 2013).
Raccontate, giornalisti, sì, proprio voi! Raccontate i fatti, spiegateli, commentateli se serve! Ma, cari cronisti, pubblicisti, articolisti, reporters, fatelo senza generare sovraesposizione. State molto attenti alle immagini!
Sembrano, all’apparenza, norme semplici da seguire, ma per riuscirci davvero si ha la necessità di professionalità, competenza, misura, senso di responsabilità, idee chiare e capacità di resistere alla tentazione di catturare l’attenzione del pubblico ad ogni costo, cavalcando l’onda emozionale.

Fonte: Freepik.com


Coerenti fino a che punto?

                             Screen relativi ai messaggi di assistenza proposti da Instagram
Si è parlato di “silenziosa indifferenza”, di “glorificazione postuma”, di “emulazione”, di “violenza sui social”, di “ruolo dei media nel XXI secolo”. Ma se ci guardiamo intorno, la coerenza dove sta?
Su Instagram, per esempio, hashtag come #kissing, #bra, #sexytimes vengono censurati, e lo sono anche parole come #kansas o #italiano. Ci si potrebbe chiedere il perché di queste ultime e soprattutto #italiano resta ancora un mistero, ma per gli altri vocaboli una spiegazione c’è ed è anche alquanto immediata. 
Ciò che ci si chiede, soprattutto per concludere il discorso è: come mai vengono censurate parole di riferimento come queste e poi se si digita sullo schermo del cellulare una parola come #terrorism, #violence, #murder si aprono di fronte agli occhi dell’utente le immagini più svariate? L’unica consolazione è che, per quanto riguarda almeno il termine #suicide o quello più specifico #bluewhale, il social Instagram ha provveduto con una particolare premura a chi, forse, mente debole, fragile e facilmente condizionabile, necessita la vicinanza di qualche figura capace di offrire aiuto e assistenza.

La speranza è l’ultima a morire

Il fuoco che continua a mantenere in vita la fiaccola della speranza si oppone a quella folata di vento gelida che recita le seguenti parole: “così, succede che nei fatti i media puniscano chi andrebbe premiato, tacendone o sottovalutandone l’azione, proprio mentre premiano in termini di visibilità chi andrebbe punito e condannato. L’odio si muove più in fretta delle buone notizie” (Appadurai, 2013).
Dunque, cari lettori, se navigando sul web troverete tanta disintermediazione, siate consapevoli del fenomeno in sé, siate consapevoli che nella guerra per la visibilità, le munizioni vengono prodotte dal sistema mediatico (non sempre in modo volontario) e che il premio di chi vince è l’attenzione di tutti noi!
Chiunque, prima o poi, avrà bisogno di confrontarsi non solo con il lato oscuro ma anche con quello luminoso degli eventi. La necessità nascerà proprio per alimentare la fiducia e la speranza, e soprattutto per sapere come orientarle: se non si può censurare una cattiva notizia, negativa, triste, drammatica o violenta che sia, non si può nemmeno ignorare una notizia buona, positiva e che farà luce su tante zone d’ombra, per non dire buie, del mondo dell’informazione sui social. 



BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Coleman, L. (2004). The Copycat effect: How the media and popular culture trigger the mayhem in tomorrow’s headlines. New York: Pocket Books 

Foscolo, U. (2012). Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Roma: Carocci.

Goethe, J. (2014). I dolori del giovane Werther. Milano: Feltrinelli.

Keen, A. (2013). Vertigine digitale: fragilità e disorientamento da social media. Milano: EGEA.

Zanacchi, A. (2006). Opinione pubblica, mass media, propaganda. Roma: LAS.

Coppola, A. (2016). Colombani: “Follie multiformi. Ora il servizio civile per ogni cittadino”. Corriere della Sera. Disponibile in: https://www.corriere.it/politica/16_luglio_28/colombani-follie-multiformi-ora-servizio-civile-pr-ogni-cittadino-227c1f3c-5500-11e6-b3c8-d7c5a8f396df.shtml

Di Stasio, E. (2014). Delitti efferati, intervista al criminologo Gianfranco Marullo: l’eccessivo risalto mediatico può causare emulazione?. Disponibile in: http://www.inliberta.it/delitti-efferati-intervista-al-criminologo-gianfranco-marullo-leccessivo-risalto-mediatico-puo-causare-emulazione/

Fenoglio, J. (2016). Resistere alla strategia dell’odio. Le Monde. Disponibile in: https://www.lemonde.fr/idees/article/2016/07/27/resister-a-la-strategie-de-la-haine_4975150_3232.html

Marinelli, L. (2016). Violenza amplificata sui social: menti deboli a rischio emulazione. La Stampa. Disponibile in: https://www.lastampa.it/2016/07/24/esteri/violenza-amplificata-sui-social-menti-deboli-a-rischio-emulazione-VHDCRm0iZSf3EL2GyEAE3H/pagina.html

Redazione TPI (2016). Le Monde e altre testate francesi non pubblicheranno più foto di terroristi. Le Monde. Disponibile in: https://www.tpi.it/2016/07/28/le-monde-non-pubblicheranno-foto-terroristi/

Severgnini, B. (2016). Francia, attacco in chiesa: un crimine ispirato da un altro. Il potere dell’emulazione. Corriere della Sera. Disponibile in: https://www.corriere.it/politica/16_luglio_26/crimine-ispirato-un-altro-potere-dell-emulazione-terrorismo-6f90878a-536c-11e6-ae43-c1c76a863041.shtml

Testa, A. (2015). Le cattive notizie e le buone. Disponibile in: http://nuovoeutile.it/le-cattive-notizie-e-le-buone/

Testa, A. (2016). Paradosso della visibilità: come i media premiano chi deplorano. Disponibile in: https://nuovoeutile.it/paradosso-della-visibilita/

Testa, A. (2018a). L’amara verità sulle notizie false. Internazionale. Disponibile in: https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2018/03/12/verita-notizie-false


Testa, A. (2018b). La grande sfida della visibilità. Internazionale. Disponibile in: https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2018/09/17/sfida-visibilita

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