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MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers

SAY IT WITH EMOJI

Articolo di Elisa Di Caprio
(Traduzione “Comunicare digitalmente i sentimenti tramite emoji”)

Al giorno d’oggi siamo quotidianamente immersi in diverse reti di comunicazioni con cui sviluppiamo o consolidiamo la maggior parte delle nostre relazioni, tramite un dispositivo, computer o smartphone che sia, ed una, o più, delle molteplici piattaforme di social network ancora operanti. Dunque, si può dire che buona parte delle nostre relazioni si basa su una comunicazione mediata e prevalentemente scritta. Proprio perché in forma scritta, la comunicazione digitale, da una parte si arricchisce di ulteriori elementi, come la punteggiatura e la possibilità di esprimersi in maniera più controllata e attenta, dall’altra parte, perde tutta quella serie di indizi non-verbali che caratterizzano e donano colore e personalità alla comunicazione interpersonale faccia-a-faccia.

Come ci destreggiamo nella comunicazione online di tutti i giorni?

Secondo la Teoria della Processazione dell’Informazione Sociale (J. Walther 1992), nonostante la mancanza di elementi non-verbali, gli utenti sviluppano abilità di decodifica degli indizi testuali, con lo scopo di crearsi impressioni interpersonali ed evincere e interpretare le informazioni sociali e relazionali. Ciò può avvenire tramite l’interpretazione della natura del messaggio, delle domande e delle rilevazioni, ed anche l’attenzione agli elementi cronometrici. L’uomo è sociale per natura e nelle relazioni con gli altri ricerca sostegno nella sopravvivenza e nel relazionarsi con il proprio ambiente. Per farlo è necessario l’intermediazione delle emozioni, sia nell’espressione delle proprie che nella ricezione e lettura di quelle altrui. Non stupisce quindi che sia in grado di adattarsi alle differenti forme di comunicazione per ricavare indizi e informazioni tanto preziose. Tuttavia, negli ultimi decenni, le emoticons e successivamente le emoji sono concorse a supportare queste necessità, portando le conversazioni al passo con il repertorio di strumenti comunicativi propri del mezzo orale.

La prima emoticon appare negli anni ’80, con lo scopo di segnalare l’intento ironico e umoristico di una frase, da allora si diffondono e arricchiscono le conversazioni digitali finché non ne viene presentata una forma più colorata, maggiormente personalizzabile ed integrata con nuovi elementi pittografici.  Le emoji infatti presentano non solo diverse espressioni facciali, ma anche gesti manuali, animali, cibo, persone, sport, località paesaggi e strutture di vario genere (comprese quelle sacre). Esse vengono create negli anni novanta dall’ingegnere giapponese Shigetaka Kurita, con lo scopo di fornire sia  rappresentazioni visive, che potessero esprimere determinate disposizioni emotivo-affettive, sia rappresentazioni infografiche, che potessero veicolare informazioni più pratiche e fattuali. Dal 2011, anno in cui Apple le introdusse nel proprio sistema operativo, si sono diffuse esponenzialmente, sono diventate parte del panorama e delle conversazioni digitali ed anche delle nostre abitudini comunicative. Ad oggi circa il 92% della popolazione online ne fa uso e circa metà dei testi su Instagram è composto di emoji: di fatti, vengono scambiate almeno 6 miliardi di emoji al giorno.

Ma cosa sono le emoji e cosa possono fare per noi?

Possiamo comprenderle meglio analizzando somiglianze e differenze con le emozioni ed il ruolo di queste ultime nelle interazioni sociali dal vivo.

Le emozioni, come descrive Ekman (1977), sono un dispositivo neuroculturale, ovvero presentano una base biologica universale e subiscono un’influenza nel corso del processo di socializzazione, tramite cui vengono acquisite una serie di regole d’espressione. Allo stesso modo, le emoji da una parte presentano una forma di universalità, poiché prescindono dal linguaggio specifico e si ricollegano ad emozioni ed esperienze globalmente condivise. Durante il processo di creazione di uno strumento di analisi della valenza affettiva delle emoji (Emoji Sentiment Ranking, Novak et. al. 2015), non sono emerse differenze all’interno dei 13 paesi sotto analisi nell’attribuzione di positività, neutralità o negatività.

Dall’altra parte, esse dipendono dal contesto socialmente e culturalmente determinato. Vi è maggiore uso se la comunicazione ha dimensione sociale ed emotiva, rispetto a quando la comunicazione risulta funzionale ad un compito o un obiettivo (ad esempio, le e-mail). Inoltre, si tende a ricorrere alle emoji solo quando la personalità del proprio interlocutore viene percepita come caratterizzata da apertura mentale alle novità e al cambiamento, curiosità e inventiva (ciò non avviene quando è percepita come meno impulsiva e più ordinata).

Esse, dunque, non solo veicolano specifiche emozioni, ma diventano vere e proprie norme socioculturali. Sociali, nei termini in cui vengono diffuse e normalizzate determinate emoji, a discapito di altre, nelle proprie cerchie di amici (Park et al. 2013). Culturali, nella misura in cui esse vengono interpretate ed utilizzate secondo le usanze e le convenzioni della cultura di appartenenza. Un esempio è l’emoji con le mani congiunte, vista dalla cultura occidentale come in forma di preghiera, mentre nella cultura giapponese esprime ringraziamento.

Allo stesso tempo le emoji son ben più complesse di quello che sembra: esse non sono riconducibili solo alle emozioni. Di fatti non sempre è l’emoji a caratterizzare la valenza affettiva di un messaggio rispetto al linguaggio verbale stesso. Inoltre, rispetto alle emozioni che sono spontanee e in una certa misura incontrollabili, esse sono deliberate e volontarie. Vi è infatti una tendenza a dedicare particolare attenzione affinché il messaggio sia interpretato correttamente, soprattutto quando ha valenza positiva (Walther et. al. 2015), e sia socialmente desiderabile.

Quali sono, quindi, le funzioni delle emoji?

Esse, così come tutti gli indizi non verbali (cinetici, prossemici, paralinguistici, di espressioni facciali) propri della comunicazione interpersonale, possono svolgere un’azione ridondante, complementare, contraddittoria o combinata rispetto agli elementi verbali. Tali azioni si concretizzano in tal modo: accentuano o enfatizzano il tono o il significato di un messaggio, forniscono una chiave di lettura del testo e lo rendono creativo e visivamente saliente, permettono di percepire l’impronta emotiva. Inoltre, riducono l’ambiguità del discorso e segnalano l’ironia ed il sarcasmo (come evidenziato dalla Legge di Poe: “senza un emoticon sorridente o qualche altro chiaro segno di intenti umoristici, non è possibile creare una parodia del fondamentalismo in modo tale che qualcuno non la confonda con il vero fondamentalismo”). Infine, rappresentano una forma di punteggiatura, figurando come pausa tra diversi concetti o discorsi, permettono di farsi un’idea della personalità del proprio interlocutore e allo stesso tempo permettono di personalizzare il proprio stile, contribuendo all’espressione di sé.

Infine, si avvicinano alla dimensione artistica, sia nelle funzioni di espressione di sé, gratificazione o intrattenimento, sia nella possibilità, tramite la combinazione di tali funzioni, di esprimere un’idea, un pensiero o una prospettiva.  Non a caso nel 2016 è stata inaugurata una esibizione permanente sulle emoji originarie presso il New York Museum of Modern Art (MoMA).

In sintesi, le emoji, svolgono una funzione di facilitazione degli scambi sociali all’interno delle nostre conversazioni online, rendendoci abili comunicatori lì dove risulta più complicato esprimere i propri intenti, le proprie emozioni e la propria personalità; quindi, si può dire che le emoji assolvono ad un'unica grande funzione, ovvero quella che contribuisce a renderci umani, anche nel mondo interconnesso e digitale di oggi.

In today’s global village, we communicate not just with words , but in technicolour. (The Emoji Code, Evans 2017)




BIBLIOGRAFIA

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Libro:

Evans V. (2017), The Emoji Code: How Smiley Faces, Love Hearts and Thumbs Up are Changing the Way We Communicate, Michael O’Mara Books.

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