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MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers...

Revenge Porn: è davvero possibile bloccare tale fenomeno attraverso un social network?


Articolo di  Laura Marta Di Gangi

Revenge Porn: di cosa si tratta?

Molto spesso accade che nel momento in cui una relazione finisce, che possa essere di tipo sentimentale o esclusivamente sessuale, ci si porti dietro dei ricordi, più o meno brutti, ma ci sono volte in cui tali ricordi influiscono talmente negativamente nei confronti di una delle due parti da rovinargli la vita.
Questo accade quando si attua il Revenge Porn: una forma di stalking tecnologico, che attraverso internet e le piattaforme social contribuisce alla diffusione di materiale pornografico per umiliare la persona con la quale si è avuta una relazione, così da rovinarle la vita.
Chi decide di vendicarsi in tale modo è ovviamente una persona psicologicamente disturbata che vede nel postare foto o video hard dell’ex l’unico modo per vendicarsi del torto subito. Molto spesso accade anche che il vendicatore decida di allegare, alle immagini o foto postate, il numero telefonico, l’indirizzo di casa o il nome del profilo Facebook della vittima, così da renderla più rintracciabile.
Nelle vittime si scatena così un forte senso di umiliazione e imbarazzo per l’esposizione pubblica subita contro il proprio consenso, oltre l’insicurezza e i dubbi che la pervadono nel momento in cui inizia a relazionarsi con qualcun altro, non riuscendo a fare a meno di chiedersi se quella persona sia a conoscenza del materiale che circola su di lei.
Per quanto concerne il materiale che il vendicatore decide di pubblicare, esso può essere stato filmato o scattato con il consenso della vittima, ad esempio durante la relazione che c’era fra i due, oppure può essere stato ripreso con l’inganno, di nascosto dalla vittima, o può accadere talvolta che siano degli hacker che, intrufolandosi nei dispositivi delle persone, riescano a entrare in possesso di certo materiale.
Tutto ciò accadeva purtroppo anche prima dell’arrivo di Internet ma riusciva a lasciare comunque alle vittime un margine di diffusione piuttosto limitato perché il vendicatore poteva diffondere la notizia tramite lettere, pettegolezzi, maldicenze e la vittima poteva uscirne cambiando città, comitiva, lavoro, perché il tutto rimaneva all’interno di una cerchia ristretta. Il problema di oggi è che l’avvento di Internet non rende facile cancellare il passato: tutto ciò che viene postato e condiviso in rete è di dominio pubblico, e anche quando si riuscisse a far cancellare testi o immagini che violino la privacy, tale cancellazione avverrebbe solo dopo la diffusione del materiale, dunque troppo tardi per la vittima.
Tale attacco non fa altro che provocare nelle vittime un senso di impotenza, depressione, sfiducia, che le porta a pensare che l’unica via di uscita sia il suicidio anche perché, ad esempio, alcuni fatti di cronaca ci riportano a casi in cui le vittime, dopo tutto ciò, abbiano perso il proprio lavoro o siano state allontanate da amici e conoscenti, come se fossero state loro stesse a ricercare un qualche tipo di notorietà pubblicando materiale pornografico personale.

Il modo in cui gli stati stanno lavorando per bloccarlo:
Diversi sono gli Stati in cui si sta diffondendo il Revenge porn ed alcuni governi stanno approvando leggi capaci di punire tutti coloro che lo praticano.
Da varie analisi statistiche è risultato come le maggiori vittime siano le donne, quasi il 60-70 %, mentre gli uomini in quantità minori, specialmente se omosessuali.
Negli stati uniti sono presenti vari siti che parlano di revenge porn: uno di questi è IsAnybodyDown.com, sito in cui sono state pubblicate e rese disponibili a tutti immagini private di varie donne. Il fine ultimo di questo sito non consisteva nel pagare e rivendere i filmati ma stava nell’estorcere direttamente alle vittime del denaro: solo così il materiale compromettente sarebbe stato cancellato.
Il proprietario del sito, nonostante ciò, è stato condannato con una semplice ammonizione: non gli sarà più possibile pubblicare foto compromettenti senza il consenso delle persone ritratte, altrimenti sarà multato di 16 mila dollari per ogni giorno in cui commetterà una violazione.
Dietro i siti di Revenge porn si celano spesso uomini giovani che si difendono affermando che le vittime “se la sono cercata”, avendo acconsentito alla ripresa delle immagini o alla proposta sessuale.
In America sono stati riscontrati due problemi: dapprima è stato notato che alcuni di questi siti, nel momento in cui ricevevano le denunce delle vittime, prima di cancellare le immagini le inoltravano ad altri siti collegati che si trovavano in Stati differenti spesso sprovvisti di una legislazione intenzionata a contrastare il fenomeno del Revenge porn; mentre il secondo problema è che i gestori dei siti sono tutti giovani che non hanno nulla da perdere e da cui non è possibile ottenere alcun tipo di risarcimento.
 In stati come la California nel 2013 è stata approvata una legge che condanna tutti coloro i quali attuano tale vendetta; una legge altamente restrittiva è stata adottata anche nel New Jersey. In Italia purtroppo non è presente ancora nessuna legge che possa bloccare tale fenomeno o punire chi lo compie, ma è in atto una petizione ad opera di Silvia Semenzin, una dottoranda in Digital Sociology, lanciata su change.org, in cui chiede alle istituzioni italiane una legge che possa fermare il Revenge porn. Nel mese di novembre dello scorso anno è stata firmata la petizione anche dall’ex Presidente della Camera Laura Boldrini, che ha da subito accolto la richiesta di Silvia, che nel giro di poche ore aveva già raccolto migliaia di firme. La stessa Silvia Semenzin afferma: “Sono stata testimone di tanti abusi sulle donne. Credo che il mio volto sia il volto di tutte le ragazze che hanno subito violenze online: credo che il Revenge porn non sia semplicemente la pubblicazione di un filmino erotico alla fine di una relazione, ma assume forme molto più subdole e normalizzate. Spesso la vittima non lo viene nemmeno a sapere: a volte viene ripresa di nascosto per essere condivisa in chat goliardiche di ragazzi che sono degradanti”, continua dicendo anche che la legge dovrebbe basarsi su tre punti cardini: “Innanzitutto, la punizione penale di chi diffonde video di terzi senza consenso, poi la cancellazione immediata e il diritto all’oblio della vittima, infine il supporto psicologico alle vittime per evitare che queste ultime si possano chiudere nel silenzio”.



E i social come reagiscono?
La piattaforma social Facebook ha trovato un metodo per combattere il revenge porn sviluppando, in accordo con il governo australiano per la cyber security, un sistema che possa riconoscere ed eliminare qualsiasi materiale di revenge porn. Tale programma, anche se inizialmente non ha riscontrato molti pareri favorevoli, col tempo è riuscito ad ottenere l’appoggio di stati come l’Australia, gli Stati Uniti e il Canada. Per far ciò è necessario però che l’utente invii il materiale compromettente prima che venga postato dal vendicatore.
Ma come funziona? Per prima cosa gli utenti dovranno compilare un questionario sulla sicurezza online, dopodiché dovranno inoltrare le proprie foto in modo tale che il sistema ottenga una sorta di impronta digitale, chiamato “hash”, che consente di individuare in rete il contenuto privato e di cancellarlo se venisse pubblicato. Tale processo non esclude il fatto che possano esserci comunque dei rischi.
Per applicare tale processo è necessario che la vittima possegga il materiale e che non siano applicati ritocchi sull’immagine pubblicata perché sarebbe difficile per il software riconoscerla e bloccarla.
Gli utenti dovranno pubblicare le loro immagini in maniera sicura attraverso un link usa e getta, queste verranno poi visionate da una squadra di moderatori che andranno a confermare che eventuali contenuti cercati violino le norme della piattaforma e rientrino nella classifica delle immagini intime non consensuali.
Inoltre gli operatori del social network spiegano che, una volta create le stringhe numeriche associate alle foto, notificheranno via mail alla vittima eventuali caricamenti ed elimineranno dai loro server le immagini in meno di una settimana. La cosa si ripeterà ogni qualvolta la foto verrà rilanciata su Facebook, Messenger o Instagram.
Anche se tale processo può sembrare strano poiché necessita della condivisione volontaria del materiale intimo con degli sconosciuti, la ricerca tecnologica di Facebook sembra essere al momento il modo migliore per evitare la diffusione a macchia d’olio del revenge porn e di tutti quegli abusi che si commettono guardando materiale pornografico pubblicato senza il consenso dei protagonisti.


Sitografia






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