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MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers

Look down generation: (a)social. Di che colore è il cielo?

Articolo di Lavinia Cianchi

Ciò che costruiamo online è una vita fittizia che sostituisce quella offline che ci lascia isolati e sperduti in un mondo senza più legami? (Bauman, 1999).
Capita sempre più di frequente vedere ragazzi, riuniti intorno ad un tavolo di un bar, che invece di guardarsi l’un l’altro si specchiano nel proprio telefono. 

Cosa si intende per look down generation? 

Il termine look down generation si riferisce alla generazione odierna che punta lo sguardo sempre verso il basso: verso il proprio smartphone. Questa generazione, la nostra generazione, sta perdendo sempre più le capacità comunicative fisiche e dialettiche valorizzando e prediligendo quelle online. Siamo costantemente aggiornati, connessi, sempre con il telefono in mano, come se questo ci facesse sentire meno soli. 

Ma è davvero così? 

L’uso spropositato che facciamo del telefono e delle connessioni social sembrerebbe non lasciare il tempo per le creazioni o le fortificazioni di legami al di fuori della rete. Siamo talmente persi nelle connessioni del web che non riusciamo ad uscirne, rimanendo incastrati su piattaforme che hanno questo come solo obiettivo: il nostro tempo, perché il tempo, oggi, è la cosa più preziosa che abbiamo. 

Secondo Mazzucchelli, psicologo, psicoterapeuta e direttore della rivista “Psicologia Contemporanea”, i nuovi media darebbero solo una sensazione di essere sociali e come tali essi sono capaci di incidere sulla solitudine sociale per chi ne soffre ma, a lungo termine, si è visto come non sempre si producano conseguenze del tutto positive (Mazzucchelli, 2014). 
La questione problematica è dunque sull’uso eccessivo degli smartphone che non sono reali creatori di relazioni, ma al contrario, sono creati di asocialità.  Infatti, sulla rete nascono costantemente migliaia di relazioni che tanto velocemente sono nate e che altrettanto velocemente finiranno, lasciando l’individuo sperso, isolato, senza più punti di riferimento. 

Una ricerca svolta nel 1998 dalla Carnegie Mellon University (http://kraut.hciresearch.org/sites/kraut.hciresearch.org/files/articles/kraut98-InternetParadox.pdf) sottolinea come la comunicazione on-line incida negativamente sul benessere psicologico, poiché sottrae tempo che potrebbe essere dedicato alle amicizie già esistenti riducendone la qualità. 

Questa ricerca chiamata HomeNet ha infatti rilevato come una maggiore permanenza in rete sia associata ad una diminuzione, modesta ma statisticamente significativa, delle attività sociali nella vita off-line come, ad esempio, la comunicazione all’interno della famiglia o il numero di amici frequentati nel tempo libero e un aumento di sentimenti depressivi e di solitudine. Per questo viene proposta l’espressione di Internet Paradox per evidenziare il fatto che questa tecnologia, anche quando utilizzata come strumento comunicativo, in realtà riduce il coinvolgimento sociale e il benessere psicologico di chi la usa, procurando un’alienazione dalla vita reale.

Ma perché questi social, queste piattaforme comunicative che ci permettono di essere ovunque e in qualunque momento dovrebbero essere così dannose? 
La questione è che ormai sempre più spesso si preferisce mandare un messaggio piuttosto che fare una telefonata, o piuttosto che vedersi nel cortile di casa, si preferisce rimanere a casa davanti un computer che comunque non ci può dare ciò che cerchiamo. Ma cosa cerchiamo realmente? 
Secondo una ricerca (Ferguson e Perse, 2000; Leung, 2001) esistono cinque motivi differenti che spingono l’individuo ad utilizzare i social network:

  • Inclusione sociale, cioè il bisogno di appartenere ad un gruppo;
  • Mantenimento di relazioni, la comunicazione on-line permette di rimanere sempre in contatto con i propri amici;
  • Incontro di nuove persone;
  • Compensazione sociale, cioè la tendenza a compensare problemi comunicativi presenti nella comunicazione faccia a faccia; 
  • Divertimento.
I social ci rendono più sociali? 

Ma se da un lato i social ci aiutano a superare delle difficoltà, allo stesso tempo diventano delle scorciatoie per gli individui che non si troveranno più costretti a relazionarsi faccia a faccia, e che nelle relazioni off-line tenderanno solitamente ad isolarsi, tenendo nella mano il telefono ed aggiornando costantemente la propria home del social network, esaltati da ogni likes ricevuto. 
A tal proposito, nel 2017 è stata svolta un’altra indagine (https://www.eurekalert.org/pub_releases/2017-05/bps-fld050117.php) che si è occupata della dinamica dei love marks, partendo dall’idea che ricevere un “mi piace” su un social network fa produrre dopamina (neurotrasmettitore alla base del rinforzo positivo) nel cervello, che è alla base della dipendenza. 
Questa ricerca svolta dalla British Psychological Society ha evidenziato che su 340 utenti, raccogliere molti “mi piace” su Facebook non fornisce alcun effetto in termini di autostima e benessere, specialmente in chi ha già certi problemi di isolamento sociale. 

Si crea dunque un circolo vizioso: quando otteniamo i likes che fortemente desideriamo non ci sentiamo affatto meglio né facciamo passi avanti. Anzi, sembrerebbe verificarsi il contrario: più dipendiamo dai clic altrui più abbiamo scarsa fiducia in noi stessi.
Inconsciamente, percepiamo che i likes ricevuti siano sinonimo di accettazione ed essi condizionino i nostri comportamenti, come se i “mi piace” fossero l’unica cosa che conta. 
Non solo: questo processo porterebbe gli individui ad isolarsi progressivamente nella vita off-line: Social on-line, a-social off-line. 

Inoltre, un’altra ricerca, sempre del 2017, della Royal Society for Public Health, ha identificato Instagram come “worst for young people’s mental health” (https://www.rsph.org.uk/about-us/news/instagram-ranked-worst-for-young-people-s-mental-health.html). Infatti, secondo questa indagine svolta su 1.479 giovani fra i 14 e i 24 anni (nel Regno Unito) Instagram sarebbe risultata la peggiore piattaforma per la salute mentale dei giovani. 
La ricerca analizzava varie piattaforme come Facebook, Twitter, Snapchat e YouTube, ma è proprio la piattaforma fondata da Kevin Systrom quella peggiore. Instagram, enorme contenitore di foto e video, incide sul benessere psicologico suscitando sentimenti negativi che nascono dalle esigenze di comparazione della propria vita con quella altrui.

Insomma, questi social network sembrano tutto tranne che reali promotori di socialità.
Nonostante, i nuovi media hanno abbattuto delle barriere spazio-temporali, nel fare questo hanno reso obsoleti gli strumenti ed i modi di comunicare precedenti come l’incontro di persona e le altre forme di interazione tradizionali (Riva, 2010).

In un’epoca in cui è stato coniato un termine come look down generation sarebbe necessario, da parte di tutti, che si prendesse coscienza di quello che sta accadendo. Sarebbe positivo ed anche bello se passeggiando si potessero vedere ragazzi riuniti ad un tavolo di un bar mentre si guardano l’uno negli occhi dell’altro, sorridendosi, parlandosi. Faccia a faccia. Questo “ritorno al passato” è possibile solo se ognuno di noi comincia a farlo in prima persona:  

“Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi”. E. Hemingway 






Bibliografia

Amichai-Hamburger, Y., & McKenna, K. Y. A. (2006). The Contact Hypothesis Reconsidered: Interacting Via the Internet. Journal of Computer Mediated Communication;

Baiocco, On-line friendship: is it a stimulation or a social disengagement?, in Psicologia Clinica dello sviluppo, il mulino; 

Baumann, Alone Again: Ethics After Certainty, Demos, 1994;
Baumann, Modernità liquida, Gius.Laterza & Figli Spa 2011;

Cantelmi, Talli, Del Miglio, D’Andrea La mente in Internet: psicopatologia delle condotte on-line. Padova: Piccin 2000;

Cheng, Chan,  Tongs, Qualities of Online Friendship with Different Gender Compositions and Durations. CyberPsychology & Behavior, 2006;


Computers in Human Behavior, 2010

Couyoumdjian, Baiocco, Del Miglio. Adolescenti e nuove dipendenze. Le basi teoriche, i fattori di rischio, la prevenzione. Roma, Laterza. 2006.

Mazzucchelli C. (2014). La solitudine del social networker. Delos Store.

Valkenburg, Peter, Preadolescents’ and Adolescents’ Online Communication and their Closeness to Friends. Developmental Psychology, 2007

Wolak, J., Smahel, D., Greenfield, D. Escaping or Connecting? Characteristics of Youth Who From Close Relationships. Journal of Adolescence, 2003

Ferguson, D. A., & Perse, E. M. (2000). The World Wide Web as a Functional Alternative to Television. Journal of Broadcasting & Electronic Media, n. 44

Facebook likes don't make you feel better: Getting 'likes' on social media posts doesn't lift your mood. https://www.eurekalert.org/pub_releases/2017-05/bps-fld050117.php


Kraut, Patterson, Lundmark, Kiesler, Mukophadhyay, Scherlis, Internet Paradox: A social Technology that Reduces Social Involvement and Psychological Well-being?. American Psychologist, 1998  http://kraut.hciresearch.org/sites/kraut.hciresearch.org/files/articles/kraut98-InternetParadox.pdf

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