Articolo di Ornella Mendou'a
Il sentimento dell’odio, purtroppo già diffuso molto prima dell’arrivo dell’era digitale, identifica "un sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui o ancora più genericamente, un sentimento di profonda ostilità".
Nel secolo scorso l’odio ha conosciuto una diffusione notevole durante la seconda guerra mondiale, periodo che ha mostrato al mondo nuove forme di odio e ha portato l’umanità ad una necessaria e profonda riflessione sui rapporti tra i popoli.
Con l'avvento dei social media, questo sentimento ha trovato un mezzo molto potente di diffusione, permettendo di essere trasmesso rapidamente su larga scala e nei confronti di un’audience amplissima. In esso i principali bersagli sono, quasi sempre: soggetti afroamericani, ebrei, omosessuali, arabi, ispanici o di altre minoranze.
I siti web “stromfort” e “arian nation” sono stati le due piattaforme web d’odio più visibili negli anni 1999-2000, dedicati alla celebrazione del “potere bianco” con stretta connessione al “ku klux klan”. Inoltre, manca una definizione univoca di “hate-speech” tra gli ordinamenti giuridici delle nazioni e ciò rende difficile avere un’idea condivisa di questo termine. Tuttavia, l’articolo 20 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottato nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976, recita: “- qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla legge. – qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge”.
Basandosi su questo articolo si può definire l’“hate-speech” come l’insieme delle espressioni volte ad attaccare, minacciare o insultare altre persone, o gruppi di persone, motivando tali azioni sulla base dell’origine razziale, dell’etnia, della religione, del sesso, dell’orientamento sessuale o di un’eventuale disabilità. Per rientrare tra le “hate-speech”, un’azione deve essere caratterizzata da tre elementi indispensabili:
- una chiara volontà e intenzione di incitare all’odio, con le parole o ogni altro mezzo di comunicazione;
- che l’incitamento sia idoneo a causare atti d’odio e di violenza nei confronti dei soggetti presi di mira;
- che gli atti di violenza o di discriminazione si verifichino, o che il rischio che ciò avvenga sia concreto
Definite le caratteristiche di base dell’hate-speech, esaminiamo fino a che punto i comportamenti degli haters possano influenzare la vita degli utenti con cui essi interagiscono.
Chi sono gli “haters” e diffusione del fenomeno
Secondo un articolo pubblicato da Mirko Delfino sul suo blog “gli haters sono letteralmente coloro che odiano. Coloro che sfruttando l’invisibilità e l’anonimato del web, si sfogano e scagliano contro altre persone aggredendo verbalmente con insulti e critiche di ogni genere”.
Gli haters mostrano alcuni tratti tipici che li rendono somiglianti fra loro:
- Pensano di poter insultare gli altri perché solo le loro idee sono giuste;
- L’uso della violenza verbale e degli insulti è molto frequente;
- Sono costantemente alla ricerca di nuove vittime;
- Generalmente sono gelosi ed invidiosi e non accettano pensieri, concetti ed idee diverse dalle loro;
- Tendono a seguire ogni giorno le attività delle persone che criticano;
- Usano la scusa della libertà di espressione per esprimere ciò che vogliono;
- Utilizzano nomi fittizi ed account fake per attaccare le persone che odiano.
Secondo una ricerca fatta dall'osservatorio Vox, in collaborazione con le Università di Milano, Bari e La Sapienza di Roma, analizzando 2,6 milioni di tweet postati nell'arco di 12 mesi, i principali bersagli degli haters sarebbero le donne, vittime del 63% dei tweet negativi analizzati, seguite dagli omosessuali, 10,8%, dai migranti, 10%, e poi da diversamente abili (6,4%) ed ebrei (2,2%).
Nel suo libro “L’odio online violenza e ossessioni in rete” Giovanni Zaccardi ha indicato due motivazioni che, secondo lui, hanno permesso un’ampia diffusione del fenomeno dell’odio online.
La prima motivazione sarebbe la criminalizzazione eccessiva della rete e l’evoluzione delle tecnologie. Secondo Zaccardi, la diffusione dell'odio sarebbe cambiata in seguito all’influenza della tecnologia. In particolare, la potenza della tecnologia permette di amplificare la portata dei messaggi negativi e i conseguenti danni. Ciò è dovuto anche al boom delle cosiddette stalking app, applicazioni che forniscono accesso alle chiamate, ai messaggi, a snapchat, alle fotografie, insomma a tutto ciò che è presente nel telefonino della vittima. Questa idea di Zaccardi si collega a una parte del report dell’Unesco del 2015 intitolato “Countering online hate speech” dove l’odio online rispetto a quello offline si sarebbe molto diffuso a causa:
- della permanenza dell’odio: ossia la possibilità dell’odio online di rimanere “attivo” per lunghi periodi di tempo e in diversi formati, di spostarsi attraverso varie piattaforme con l’opportunità di essere ripetutamente collegato ad altri contenuti;
- di un ritorno imprevedibile dell’odio: anche se il contenuto è stato rimosso, può apparire e vivere di nuovo in un altro luogo, in un altro tempo, o sulla stessa piattaforma con un altro nome o in un'altra area del sistema;
- dell’importanza che assume nel mondo online l’anonimato, insieme a pseudonimi e nomi falsi. Con la possibilità che la rete offre alle persone di essere anonimi, in molti si sentono più a loro agio nell’esprimere l’odio: pensano di non essere scoperti o che non subiranno conseguenze;
- della transnazionalità di internet che aumenta l’effetto dell’hate speech e pone complicazioni circa l’individuazione dei meccanismi legali per combatterlo.
La seconda motivazione è legata a problemi di educazione. Nella società attuale i giovani tendono ad imitare i coetanei e alcuni modelli che vengono offerti dalla società. L’uso di apparecchi tecnologici senza un controllo dei genitori consente ai giovani di osservare e poi imitare persone che si comportano in modo scorretto. Inoltre, i giovani imitano certi comportamenti per aumentare la propria popolarità e per ricercare il consenso tra gli amici e in rete. In questo modo, l’odio si diffonde anche per imitazione.
Il fenomeno degli haters è diffuso online principalmente sulle seguenti piattaforme: Facebook, Twitter, WhatsApp, Reddit e Google.
Conseguenze ed esempi
I danni più comuni dell’impatto dell’hate speech sulla vittima sono:
- la perdita di autostima;
- il senso di rabbia;
- l’isolamento forzato;
- un costante e motivato atteggiamento sulla difensiva;
- lo stato di shock, di confusione o di disgusto, sino a configurare una vera e propria esperienza traumatica e patologica nel breve e lungo periodo.
Vi è poi il problema dell’odio inteso in senso dinamico e ad personam: si pensi all’atto indiscriminato di prendere di mira un soggetto non solamente al fine di offenderlo ma, addirittura, per condizionare, attraverso un uso distorto delle nuove tecnologie, la sua vita quotidiana e per colpire il suo benessere fisico e psichico. I casi più comuni concernono i cosiddetti atti di cyber bullismo (soprattutto contro minorenni), di cyberstalking, di grooming online (adescamento di bambini a fini sessuali), di estorsione su basi sessuali, di istigazione al suicidio via web prendendo di mira i soggetti più deboli grazie all’esposizione, spesso volontaria, dei lati della personalità più intimi e sensibili.
Un tragico esempio delle conseguenze dell’odio online è quello della ragazza belga che si è suicidata a soli 14 anni, dopo aver ricevuto degli insulti del genere “sei brutta, impiccati” sulla sua pagina Facebook (Leggo, 2016). Oppure di miss America 2014, Nina Davuluri, di origine indiana, ma nata e cresciuta negli Stati Uniti, che, dopo aver vinto la corona, è stata oggetto dei seguenti insulti (Linkiesta, 2013):
"If you're #MissAmerica you should have to be American” (Se sei #MissAmerica, dovresti essere prima di tutto Americana)
"When will a white woman win #missamerica? ever??!!" (Quando avremo una #missamerica bianca? Mai?) si chiede un altro, con riferimento al concorso del 2010, quando a vincere fu Rima Fakih, ragazza del Michigan con origini libanesi.
"Well they just picked a Muslim for Miss America. That must've made Obama happy. Maybe he had a vote" (Abbiamo scelto una musulmana come Miss America. Sarà contento Obama. Forse ha votato anche lui).
C’è anche la storia di Andrea Giuliano, che, durante la parata per l’orgoglio omosessuale di Budapest nell'estate 2014 ha avuto la sfortuna di esibirsi con la bandiera dei «Motociclisti dal sentimento nazionale» un partito xenofobo, antisemita e ultra nazionalista ungherese (La stampa mondo, 2015).
Nelle stesse ore, sulle pagine Facebook di organizzazioni neonaziste, cominciano ad arrivare migliaia di messaggi di insulti contro il ligure. Tra di essi «zingaro italiano, puoi correre, ma non ti puoi nascondere», altre riflessioni come «mica sarà un caso che abiti nel quartiere ebraico?». Ma anche le prime minacce di morte: «Vedrete che presto passerà a miglior vita». E c’è persino chi suggerisce come: «Ti inchioderemo il pene alla porta di casa». Sul sito del club neonazi compaiono quasi subito la sua foto, il suo indirizzo di casa e quello del suo datore di lavoro. Cominciano a ricoprirlo di insulti e a mandare migliaia di mail al suo capo, chiedendo che licenzi l’italiano, reo di «infangare il Paese e la religione cristiana». Non solo.
Quando Andrea torna a casa, trova due energumeni che lo stanno aspettando. Lui riesce a scappare, ma da allora cambia casa dieci volte, vive da amici, modifica il suo indirizzo di residenza tre volte, limita i suoi contatti a chi conosce, evita i vicini sul pianerottolo. Non ha pace. E le minacce, nel tempo, peggiorano. Ad un certo punto sul sito di Jeszenszky appare una taglia: 10mila dollari per chi lo ammazza. Una condanna a morte. In Ungheria, è addirittura finito sotto processo, per poi tornare in Italia.
Come difendersi?
Per cercare di contrastare il proliferare dell’odio online, sono state suggerite alcune strategie. Tra queste ricordiamo le seguenti:
- l’educazione e un conseguente aumento di consapevolezza e di attenzione nelle conversazioni online;
- la precisa responsabilità degli opinion makers, dei politici e dei mass media professionali in questo ambito dato che, molto spesso, sono proprio loro i primi, in determinati contesti, a veicolare espressioni d’odio a fini elettorali e di audience;
- modificare le leggi e le sanzioni penali e coordinare al meglio le azioni investigative. Valutare l'opportunità di considerare l’hate speech come un vero e proprio reato in tutti gli stati.
- aprire una discussione pubblica sulle responsabilità per i contenuti odiosi e sulla necessità di una maggiore trasparenza nella gestione delle informazioni, da parte delle community online più frequentate e delle piattaforme di social media. In molti dibattiti si sostiene, infatti, che i provider non stanno affrontando con sufficiente serietà la questione;
- stimolare lo sviluppo di misure tecniche utili a gestire la diffusione dell’odio in rete: si pensi a sistemi di filtraggio di quei contenuti individuati come estremi o, addirittura, alla possibilità di influenzare i discorsi in rete, e la loro visibilità o meno, tramite algoritmi.
Già esistente ben prima dei social, l’odio ha conosciuto uno sviluppo esponenziale in questi anni con l’evoluzione delle nuove tecnologie, che hanno favorito l'emersione del cosiddetto “odio online” con le persone che usano i nuovi strumenti tecnologici per insultare e colpire su grande scala alcuni soggetti deboli. Una conseguenza grave di questo fenomeno è che molto spesso questi insulti scavalcano i confini della rete e producono un impatto rilevante sulla vita reale degli individui. Questo fenomeno è oggi talmente diffuso che dovremmo unirci tutti insieme per combatterlo, cominciando da una maggiore consapevolezza nei nostri rapporti sia online che offline.
Bibliografia e sitografia
http.//www.treccani.it/vocabulario/odio/
www.mirkodelfino.com
Ziccardi. G., 2016, l’odio
online Violenza verbale e ossessioni in rete
Delfino, M., Chi sono gli
haters e come gestirli, 15-06-2018
Massaro, B., 2017,
Fenomenologia degli haters, Panorama
Linkiesta, 2013, La Miss 2014
che risveglia il razzismo in America
Leggo, 2016, Umiliata su
Facebook: "Sei brutta, impiccati",
La stampa mondo, 2015, Ungheria, minacce di morte e
una taglia sul gay italiano
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