Passa ai contenuti principali

In primo piano

MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers

Isolamento adolescenziale: i social come promotori di violenza

Articolo di Beatrice Elena Perdoncin

Ogni giorno le nostre bacheche sono riempite da immagini mozzafiato, vacanze, likes, commenti, influencer, situazioni utopiche: ma siamo sicuri di sapere quali mondi ci siano davvero dietro i social? 
Negli ultimi anni è sempre più frequente sentire parlare di violenza online, leggere notizie inerenti a giovani che vengono bullizzati non solo nel contesto scolastico reale, ma anche per mezzo di internet, e che vengono spinti in alcuni casi ad azioni estreme: il cyberbullismo è un fenomeno di cui si sente parlare sempre più spesso. Si tratta di un fenomeno di gruppo che porta a dei comportamenti devianti e spinge a commettere azioni violente che, nella forza del branco vengono deresponsabilizzate e giustificate, con atti intimidatori di sopraffazione fisica e psicologica come sostiene Olweus, sociologo norvegese che più a lungo ha analizzato e studiato il bullismo e i fenomeni ad esso correlati.
Tutto ciò è dovuto ad un forte avanzamento tecnologico che ha portato con sè delle dirette conseguenze: è cambiato il modo di socializzare e di intendere le relazioni. Le nuove generazioni, dette anche dei nativi digitali, hanno grandissime difficoltà a relazionarsi nella vita reale, andando incontro a isolazionismo e individualismo. Fin dai primi anni viene concesso loro di utilizzare strumenti tecnologici con cui interagire per cui riconoscono solo in quel mezzo la via per la socializzazione. I social, le piattaforme di gaming e i forum diventano quindi i luoghi in cui creare e coltivare amicizie e relazioni.

Il sociologo bolognese Martelli (1996) parla di un fenomeno chiamato, “socializzazione leggera”, ovvero una socializzazione volta a non avere un contatto con il mondo reale. Di conseguenza, si perde quel senso di comunità che sta alla base dei gruppi reali, indebolendo la costruzione di un’identità personale e portando, quindi, a identificarsi in un’immagine virtuale e immaginifica. Si tratta di un’identità poco strutturata e incapace di autodeterminazione, perché frutto di più modelli incoerenti. Questo fa si che le identità dei nativi digitali siano completamente scollegate dal mondo reale e siano allo stesso tempo difficilmente collegabili tra di loro e altamente persuasibili e corruttibili.
Simona Tirocchi, sociologa e ricercatrice presso l’università di Torino, (2007) sostiene che questo scenario di mutamento delle relazioni sia strettamente collegato alla progressiva dissoluzione del riconoscimento delle autorità classiche come famiglie e insegnanti, in favore di un’accresciuta importanza del gruppo di pari e dei media. Diversi sociologi, sostengono che tutti noi abbiamo bisogno di sviluppare intorno a noi relazioni e amicizie e che tali crescono in un gruppo di pari. Per quanto riguarda le nuove generazioni, i cosiddetti nativi digitali, ad oggi sono sempre più in difficoltà nel gestire delle relazioni reali, tendendo ad isolarsi. Essi hanno la necessità di stringere delle relazioni e di esprimersi, come tutti, ma per farlo preferiscono proteggersi e nascondersi dietro uno schermo o una tastiera. Lo sviluppo infatti di una situazione virtuale garantisce maggiore sicurezza e libertà agli adolescenti, ed inoltre il mancato controllo da parte di un adulto fa si che i più giovani agiscano spesso inconsapevolmente e irresponsabilmente. 

In queste circostanze, i social assumono le sembianze di gabbie, di strumenti utilizzati dai bulli per offendere, persuadere e minacciare le proprie vittime. 
Esemplificativo di tale situazione può essere considerato il fenomeno Blue Whale: il caso esploso nel 2016 su Novaya Gazeta (https://www.novayagazeta.ru/articles/2016/05/16/68604-gruppy-smerti-18), un quotidiano russo, riporta la notizia del suicidio di alcuni ragazzi legati appunto a Blue Whale. Stando al reportage infatti questi ragazzi iscritti al social russo VKontackt, simile a Facebook, e membri di gruppi che condividevano interessi asociali, e con tendenze suicide, sarebbero stati contattati dai responsabili di tale gruppo che tramite il superamento di diverse prove promettevano loro la possibilità di non sentirsi più emarginati e la possibilità di entrare a far parte di un gruppo di loro coetanei con cui condividere interessi. Peccato che al termine delle 50 prove il risultato fosse il suicidio. Altri casi sono poi emersi e sono stati ricollegati a tale fenomeno, di cui in realtà, se non per un massimo di 8 casi non si può accertare l’effettiva esistenza. 
A prescindere della veridicità dei numeri associati a Blue Whale, tale fenomeno si presenta come esempio evidente di come i social network e i nuovi metodi di socializzazione stiano in realtà portando ad effetti fortemente negativi sui giovani. La difficoltà di socializzare, il tentativo di relazionarsi con un gruppo di pari vengono meno nel momento in cui anche solo un membro del gruppo commette azioni verbalmente violente o persuasive portando a compiere gesti estremi le sue vittime.
Non si tratta solo quindi attacchi verbali, minacce e ricatti, che passano attraverso la rete in varie forme, ma anche di gesti come persuasione sugli individui più deboli, che diventano le vittime di un pericoloso gioco. I cyberbulli infatti sembrano non rendersi effettivamente conto di ciò che stanno facendo, non si capacitano della sofferenza reale che causano nelle loro vittime. Questo è dovuto al fatto che proprio perché vissuta in assenza della persona bullizzata la situazione non appare come grave o pericolosa; al contrario dei bulli che sono consapevoli a tutti gli effetti della sofferenza che stanno causano alla vittima, perché ne possono avere un riscontro diretto nella vita reale.
Ma cosa spinge un bullo a comportarsi come tale? Un bullo in realtà è un individuo che si sente inferiore agli altri: egli vuole stabilire come si è prima detto una relazione tra pari, e nel fare ciò vuole dimostrare agli altri membri del gruppo il suo valore, il tutto prendendosela con qualcuno che sia più debole e che non abbia la forza di reagire. L’azione del bullo è quindi fatta per non sentirsi escluso dal gruppo o per prenderne il potere:  

“Si diventa bulli per allontanare da sé gli occhi di altri bulli, si tace per paura di essere coinvolti, si ride per non sentirsi esclusi, si colpisce per invidia…” (Barbara Forresi http://alleyoop.ilsole24ore.com/2017/05/18/tredici-una-serie-tv-per-chi-vuole-capire-bullismo-e-cyberbullismo/)
Infine, si puó, facilmente, evincere come i social network stiano cambiano in maniera fortemente negativa il modo di approcciarsi alle relazioni dei più giovani. I social network stanno portando le nuove generazioni ad avere una doppia socializzazione, che non sono in grado di gestire, e alla volontà di entrare in un gruppo in cui essere accolti nel miglior modo possibile, anche a discapito di coetanei, di valori e rispetto. Tutto ciò è reso possibile anche dall’incapacità dei genitori o degli insegnanti di comprendere a pieno le dinamiche che si sviluppano online, generando incomprensione e ignoranza per quanto riguarda il tema. Anche a livello istituzionale, inoltre, è sbalorditivo vedere come, per quanto riguarda l’Italia, tale fenomeno non abbia trovato regolamentazione prima del 2017, le vittime di cyberbullismo erano quindi abbandonate a loro stesse, in balia di violenze che non erano riconosciute come reato e contro le quali quindi non si poteva agire.

Nonostante la legge del 29 maggio del 2017 è difficile dire che la tutela sia totale. Bisogna quindi cercare di capire come poter aiutare i giovani a convivere in maniera sana con i social network e con il mondo online, di cui non si può ormai fare a meno, in modo che esso possa essere utilizzato in maniera responsabile: solo se tutti prendono coscienza di quale siano le molteplici realtà che si sviluppano dietro i social network si potrà fermare questa violenza. 





Bibliografia

AA.VV. (2009). Dentro il bullismo, contributi e proposte socioeducative per la scuola. Milano: Franco Angeli. 
M. Faccioli (2017). Cyberbullismo, ovvero il bullismo ai tempi del web; analisi e riflessioni su un sopruso sempre al passo coi tempi. Vicalvi: Key. 
Gatti, Ledra, Rando (2013) Giovani contro: i rapporti asimmetrici del bullismo e cyberbullismo. Attualità dell’interpretazione adleriana,  Rivista Psicologica individualistica, n°53.
Martelli S. (1996) , Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi media. Milano: Franco Angeli
Morcellini M. (2006). La comunicazione e i media nell’epoca del policentrismo formativo, in Grange Sergi T., Onorati M. G. (a cura di), La sfida della comunicazione all’educazione. Milano: Franco Angeli.
Meluzzi, A. (2014), Bullismo e cyberbullismo, Reggio Emilia: Imprimatur editore.
Tirocchi, S. (2007) Lo spettacolo della violenza. Il ruolo della vetrina multimediale nella «promozione» del cyberbullismo, in La società contemporanea. Giovani e nuovi media (https://journals.openedition.org/qds/923#tocto1n3).

Tonioni, F.(2016) Cyberbullismo. Milano: Mondadori.

Commenti

Post più popolari