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MEME: ARCHIVIO INFINITO DI CREATIVITA’

Articolo di Benedetta Mordente In un momento storico in cui il patrimonio multimediale è il più vasto mai visto, creatività e personalizzazione rappresentano l’essenza stessa dei meme, per la possibilità che danno di rielaborare i significati un numero infinito di volte. Una prima definizione Il meme è la minima unità culturale capace di replicazione nei cervelli. È,ad esempio, una moda, uno stereotipo, un'immagine, che si propaga tra le persone attraverso la copia o l'imitazione mediante disseminazione e condivisione . Questa è almeno la definizione che troviamo su Wikipedia. Il primo ad utilizzare questo termine fu Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista (1974), intendendolo come l’unità base dell’evoluzione umana, così come il gene è l’unità base dell’evoluzione biologica. Chiaro è che con l’avvento di internet il termine ha cambiato significato, ma l’associazione non è sbagliata: così come il gene si diffonde attravers

Disparità di genere online: i Social uniscono o dividono? ♂ ♀

Articolo di Giulia Frigerio 


Nonostante i divari di genere ancora presenti in tutto il mondo, le donne si stanno prendendo il proprio posto anche sui social network. Grazie ad un uso più relazionale che strumentale di queste piattaforme , le donne di molti Paesi in cui il divario è ancor più marcato hanno trovato in alcuni casi la forza di farsi proprio sentire grazie alla rete sociale che hanno creato su queste piattaforme. I social network quindi, ed in particolare la loro potenzialità in fatto di creazioni di legami sociali, possono contribuire ad un progresso per la parità di genere? Oppure accentuano i tratti del divario?

Digital divide e digital gender gap: dati e ricerche

Esiste tutt’oggi una disuguaglianza digitale, o digital divide, cioè il termine tecnico per indicare il divario di accesso e di sfruttamento delle tecnologie, quale Internet. I problemi ad essa connessi vengono studiati rispetto tre dimensioni principali: accesso, ovvero la possibilità concreta delle persone di utilizzare Internet, competenze, cioè la capacità effettiva di utilizzare il web una volta avuto accesso ad esso ed usi, cioè il tipo di attività svolte attraverso questo nuovo accesso ad informazioni e strumenti, poiché determinate abilità influenzano la capacità di trarre benefici da Internet (Hargittai, 2002). Le variabili che incidono maggiormente sulla disuguaglianza digitale sono l’età, il livello di istruzione, il genere, lo status socio-economico e l’etnia di appartenenza (Gui e Micheli, 2012).
Come ogni fenomeno, come ogni cambiamento, anche la differenza di genere nella digital divide, che prende il nome specifico di digital gender gap, non va analizzato isolandolo dal suo contesto storico e culturale: bisogna infatti porre attenzione sugli elementi che costituiscono un discrimer tra genere maschile e genere femminile (Nocenzi, 2015). Se la variabile del genere è ancora così influente è perché anche nella società non si è ancora sconfitta più ampiamente e su più livelli la disparità di genere, nonostante gli enormi progressi avuti nei cambi dell’istruzione e occupazione. Da un rapporto intitolato “The underlying causes of the digital gender gap and possible solutions for enhanced digital inclusion of women and girls” eseguito dal Parlamento Europeo, pubblicato nel marzo 2018, emergono infatti dati preoccupanti: i dati raccolti dall’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni relativi a 91 Paesi, mostra come il digital gender gap abbia raggiunto nel 2017 il 12%, arrivando ad un 25% in Africa mentre in America a capovolgersi, poiché sono le donne ad usare il web maggiormente degli uomini. Nel 2017 il tasso globale di penetrazione di Internet si attesta al 50,9% per gli uomini, rispetto al 44,9% delle donne. Inoltre, la percentuale di uomini che usano Internet è leggermente superiore a quella delle donne nei due terzi dei paesi analizzati.
Nel 2013 Hafkin in uno studio sul digital gender devide afferma che “le donne possono anche avere più da guadagnare dalla ICT (information and communication technology) rispetto agli uomini, in tempo, libertà e opportunità”. Sempre nello stesso anno anche la Broadband Commission pubblica una relazione intitolata “Doubling Digital Opportunities: Enhancing the Inclusion of Women and Girls in the Information Society” in cui viene messa in evidenzia la potenzialità di Internet nel poter contribuire a correggere alcune disuguaglianze che le donne vivono della loro vita quotidiana; al contempo però viene espressa una preoccupazione perché la digital gender devide può portare ad un rafforzamento di queste disuguaglianze “offline”. Vi è dunque una duplice declinazione della tecnologia e di tutti gli strumenti da essa derivati per il genere femminile: “è sia strumento di negoziazione creativa dell’identità di genere e di azione politica riformante delle concettualizzazioni di genere e di identità, sia di esclusione e di reificazione di un’immagine stereotipata femminile” .
Per comprendere la natura del digital gendere gap dunque è importante studiare le cause che portano ancora oggi ad avere queste disparità per poi poter combattere e sconfiggere la radice del problema, senza fermarsi ai soli sintomi superficiali. Nel 2017 il Broadband Commission’s Working Group sulla digital gender devide ha pubblicato una relazione (“Recommendations for action: bridging the gender gap in Internet and broadband access and use”) che espone una serie di raccomandazioni per chi vuole agire per affrontare la problematica: concentrarsi sull’alfabetizzazione digitale, integrare le politiche di genere e nazionali in materia di ITC, migliorare le misurazioni sulle disparità legate alla ITC, accrescere l’accessibilità e la fruibilità della ITC, avviare un piano specifico per arrivare all’uguaglianza di genere per l’accesso alla broad band entro il 2020, eliminare le minacce e gli ostacoli che impediscono l’accesso alla ITC rendendo il processo più sicuro. Ci sono anche progetti di spazi in rete creati appositamente per agevolare l’accesso delle donne ad Internet e anche al loro empowerment, ad opportunità a loro dedicate, come ad esempio il progetto dell’Unesco WoN (Women of the Net) che ha come obiettivo quello di fornire alle donne, specialmente quelle di Paesi con digital gender gap più ampio, un canale facile e utile per comunicare e informarsi.

Gender sui social network

Una delle potenzialità delle piattaforme social è quella di essere ambienti in cui creare una nuova dimensione e nuove forme di socialità. L’on-line è diventata una parte integrante della vita off-line, una parte imprescindibile in cui comunicare, informarsi, incontrare. Il concetto di social network deriva da quello di rete sociale, cioè una struttura composta da due elementi costitutivi di: i nodi e i legami; i nodi sono le unità di base, cioè gli attori che recitano in quella rete (individui, gruppi, istituzioni); i fili che uniscono questi nodi sono le relazioni che intercorrono tra essi. 
Per quanto riguarda l’uso dei social network la situazione è diversa rispetto ai dati analizzati sull’accesso ad Internet; ovviamente questi dati si poggiano su quelli presi in considerazione per l’osservazione del il digital gender gap, ma mostrano dinamiche che possono essere incoraggianti per quanto riguarda il superamento delle distinzioni di genere a favore di una partecipazione più equa. Dalla infografica “2017 Social media demographics. What you need to know”  si evince che sono 2.8 miliardi gli utenti attivi sui social in tutto il mondo, con una percentuale di accesso del 37%, il 22% in più rispetto all’anno precendete. Il mondo dei social network si sta tingendo sempre di più di rosa, a riprova del fatto che le donne nel Web ci sono sempre state e che l’impronta “maschile” della Rete era dovuta alla tradizionale prevalenza di uomini in alcuni settori della scienza come l’elettronica e l’informatica.

Rivoluzioni arabe: spinta positiva o segnale di consolidate disparità?

I progressi nel campo delle comunicazioni digitali e la crescita dei social network stanno cambiando il modo in cui le persone interagiscono, si relazionano e si organizzano. Per dimostrare l’importanza della socializzazione e delle reti sociali che si creano su queste piattaforme prenderò in analisi un evento che non ha precedenti nella storia del mondo arabo anche per il ruolo svolto dai social network: la cosiddetta Primavera Araba, cioè l’ondata di proteste che ha investito la regione nel 2011, con un focus su Tunisia e Egitto, in cui la rivolta ha portato alla fine le ultra ventennali presidenze di Mubarak e Ben Alì. Grazie a questi canali, i cittadini e le cittadine arabe hanno trovato modo di unirsi per far crollare il sistema politico tirannico ed oppressivo; come ha dichiarato Riccardo Luna, direttore della versione italiana di Wired, internet interviene nei processi politici non come semplice mezzo, come poteva essere la radio o la tv nel secondo scorso, ma come rete di persone “connesse ed informate”. Le donne arabe, anche se con alcune diversità, sono state protagoniste di queste rivolte in cui hanno trovato un modo di contribuire alla lotta all’oppressione: “le reti di donne sui social network, i blog delle giornaliste, i tweet inviati e ritrasmessi in tutto il mondo, grazie alle reti di donne collegate in tutto il mondo, ci hanno permesso di ascoltare dal vivo i racconti di chi stava vivendo questa rivoluzione e di amplificarli ovunque, sfidando, in una vera e propria controinformazione al femminile, i canali ufficiali della comunicazione”.  Facebook e Twitter hanno svolto un ruolo fondamentale nella mobilitazione della società e nell’organizzazione delle manifestazioni, tanto che durante la Primavera Araba sui muri delle città coinvolte sono comparse scritte con cui si ringraziava il social più usato nei giorni delle rivolte.



Tunisia, Rivoluzione dei gelsomini.
Le proteste iniziarono al seguito di un gesto disperato di Mohammed Bouazizi, un ventiseienne laureato in economia costretto a fare il fruttivendolo che, vedendosi revocata la licenza da parte della polizia, si è dato fuoco davanti alla sede del governo; dopo questo atto, si è scatenato il malcontento latente della popolazione tunisina ed in piazza iniziarono a comparire cartelli che recitavano “Pane, dignità e libertà”. La rivolta qui scoppiata, che ha avuto in prima linea i giovani senza una vera e propria leadership, è stata pioniera di quelle poi seguite in molti altri Paesi arabi. In Tunisia gli hacker governativi hanno tentato di trafugare le identità di migliaia di utenti dai loro account Facebook, Gmail e Yahoo, ma le autorità non sono riuscite ad arginare la minaccia al potere che si stava diffondendo su queste piattaforme: il malcontento e la rabbia hanno infatti trovato nei social network un terreno fertile per la loro diffusione.
“Sono le nuove tecnologie ad aver dato alle donne la forza di combattere con gli uomini. Le hanno aiutate a comunicare, esprimersi più o meno liberamente. E i loro sforzi si sono tradotti in una reazione che da virtuale si è fatta reale” : Sondès Ben Khalifa, giornalista e blogger tunisina, ha svolto un ruolo centrale nella diffusione della voce di protesta delle donne, che hanno cercato di portare alla luce la loro condizione. In realtà, la presa di potere da parte del partito islamico Ennahda ha rischiato di compromettere i diritti acquisiti dalle donne in Tunisia; uno dei cambiamenti più visibili è stato il preoccupante ritorno al velo islamico, in una società dove per sessant’anni anni il velo era stato interdetto.



Egitto, Rivoluzione del Nilo.
La rivoluzione ha inizio il 25 gennaio 2011 in piazza Tahrir, giorno in cui l’attenzione dei media era già massima grazie ai risvolti della Rivolta dei gelsomini. Inizialmente le proteste hanno avuto carattere pacifico, ma le dure repressioni delle forze dell’ordine contro i manifestanti hanno portato a sviluppi violenti e numerose vittime. Il governo egiziano è anche arrivato a chiudere totalmente l’accesso ad Internet e sconnesso la telefonia cellulare, dopo aver oscurato e censurato Twitter prima, Youtube e Facevook dopo.
Le donne egiziane hanno avuto un ruolo attivo nella protesta, da studentesse universitarie a madri con figli e donne più anziane, protestando a fianco degli uomini e condividendo fatica, violenze e arresti. Dalia Ziada, giornalista e blogger egiziana, dichiara che “le donne vogliono una vita migliore per se stesse e le loro famiglie. […] L’aspetto più incoraggiante di questo fenomeno è la partecipazione massiccia delle donne, non solo quelle giovani ed istruite che usano Internet, ma anche delle donne anziane comuni e senza istruzione provenienti dalle zone rurali. Le giovani donne hanno un ruolo molto importante: hanno partecipato in modo efficace fin dall’inizio nel promuovere le proteste e nell’organizzare il popolo.”  Addirittura, l’8 marzo hanno provato a portare in piazza una manifestazione dedicata alla rivendicazione dei propri diritti, ma l’esito è stato di sconfitta: molte attiviste sono state invitate a lasciare le piazze agli uomini e la polizia ha represso con violenza chi cercava di opporre resistenza, mostrando quanto il Paese non fosse ancora culturalmente pronto ad accettare una partecipazione così paritaria delle donne all’attivismo politico.

Nonostante gli esiti immediatamente successivi, questi due esempi di rivolte in cui la partecipazione femminile attraverso i nuovi media è stata significativa, sono un segnale di un cambiamento che sembra aprire verso la parità di genere. I social network sono uno strumento potentissimo e pieno di possibilità, offrono una possibilità alle donne (e non solo) di partecipare attivamente a questo cambiamento, di rivoluzionare la società, la politica, la cultura; ma questo non basta da solo per dare forza alle donne, per smontare i pregiudizi che sono ancora presenti in tutti Paesi del mondo in gradi diversi: le piattaforme che consentono di creare collegamenti, connessioni, dialoghi, sono uno specchio di ciò che è la società. È necessario quindi un impegno concreto nello sconfiggere un gender gap ancor più profondo e radicato di quello digital. 




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